Nel corso degli ultimi anni, il fenomeno migratorio ha assunto proporzioni senza precedenti. Le cause generatrici sono eterogenee: terrorismo internazionale, crisi economiche e speranza di migliorare le proprie condizioni di vita, sia dal punto di vista sociale che economico. Per quanto concerne il mercato del lavoro, il fenomeno migratorio viene tendenzialmente valutato in maniera antitetica. Da un lato, l’immigrazione è percepita come potenziale minaccia all’occupazione delle risorse interne e, dall’altro, può costituire, soprattutto ove qualificata, una risorsa in grado di contribuire efficacemente all’incremento del Prodotto interno lordo, così come di recente ha dichiarato il Presidente della Bce, in termini di crescita dell’Eurozona.
Attualmente, l’ingresso in Italia per motivi di lavoro subordinato, anche stagionale, e di lavoro autonomo, è disciplinato da una normativa molto risalente nel tempo: il D.lgs. n. 286/1998 c.d. Testo unico sull’immigrazione, così come modificato nel 2002 dalla L. n. 189/2002 c.d. legge Bossi-Fini. Tale normativa regola l’ingresso di cittadini extracomunitari attraverso la previsione di quote di ingresso che debbono essere stabilite in decreti periodici (di solito annuali), i cosiddetti “decreti-flussi”, emanati dal presidente del Consiglio dei ministri sulla base dei criteri indicati nel documento programmatico triennale sulle politiche dell’immigrazione. Dal punto di vista operativo, i decreti-flussi prevedono, generalmente, una riserva di quote per i cittadini provenienti da Paesi con i quali lo Stato ha concluso accordi per la regolamentazione dei flussi d’ingresso e delle procedure di riammissione.
Tuttavia, la predetta normativa non risulta essere allineata con le attuali esigenze di governance del fenomeno migratorio. Come noto, difatti, le caratteristiche intrinseche dei flussi migratori sono cambiate radicalmente e seguono logiche geopolitiche completamente differenti rispetto al passato. In particolare, risulta anacronistico prevedere in anticipo l’entità dei flussi che interesseranno il territorio nazionale nell’arco di un lasso temporale predeterminato.
Ciò posto, ferma restando la necessità di gestire tale fenomeno dal punto di vista umanitario, sarebbe opportuno regolarizzare e razionalizzare la procedura d’ingresso degli immigrati extracomunitari mediante il coinvolgimento delle agenzie per il lavoro private. Esse potrebbero essere abilitate dallo Stato quali garanti per l’ingresso e la successiva collocazione dei lavoratori extracomunitari presso proprie aziende clienti. In tal caso, si potrebbe prevedere la costituzione di un fondo di garanzia patrimoniale, a carico delle agenzie stesse, che lo Stato potrebbe escutere in caso di inadempimento degli obblighi e/o di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare.
In sintesi, l’immigrazione, se gestita, potrebbe alimentare di fatto il mercato della forza lavoro in alcuni settori – specie relativi alle attività stagionali – che faticano a reperire risorse interne. A oggi, sebbene si assista a un moderato incremento della produttività, derivante proprio dagli effetti positivi dei flussi migratori nell’accesso al mercato del lavoro, tale condizione coesiste con una realtà di illegalità e di ingresso di “manodopera a basso costo” che richiede un rapido e incisivo intervento del legislatore.
L’auspicio è che ciò che potrebbe rappresentare una risorsa non si tramuti in un pretesto per avviare una corsa al ribasso del costo del lavoro con inevitabile peggioramento delle condizioni complessive dei lavoratori dei paesi ospitanti.