Come anticipato in questi giorni da Repubblica, in Germania un rapporto del Sachverstaendigenrat – i cosiddetti “cinque saggi” di Angela Merkel – propone il superamento dell’attuale limite quotidiano delle 8 ore di lavoro. La cosa è stata per il momento accolta con molta freddezza dai sindacati, ma c’è da credere che quest’ipotesi entrerà nel vivo della discussione e sarà destinata a cambiare le regole del lavoro in tutta Europa.



Nel rapporto presentato i “cinque saggi” hanno suggerito di cancellare i limiti giornalieri – al momento sono otto ore, massimo dieci, con obbligo di recupero del riposo nel semestre – e lasciare soltanto il tetto settimanale di 48 ore. Si consideri, in questo quadro, che la richiesta ufficiale delle associazioni degli industriali è da tempo quella di un limite settimanale e non più giornaliero; ma i sindacati tedeschi non si fidano: abolire il limite giornaliero significherebbe soltanto legittimare abusi.



La rivoluzione dell’orario di lavoro è questione che si incrocia con quella più ampia della fabbrica intelligente, dell’Industry4.0. La storia tutta è segnata dai cambiamenti dell’industria. Si pensi a cosa ha dato seguito la macchina a vapore nell’800: è nato il sistema di fabbrica e, con esso, il modello Taylorista delle 8 ore. Ma non cambiavano soltanto le regole del lavoro, cambiava la vita delle persone che si spostavano dalla campagna alla città trovando nelle famose tre 8 (8 ore di lavoro, 8 ore di libertà, 8 ore di sonno) un nuovo stile di vita che precedentemente vedeva la massa delle persone alle dipendenze del latifondista senza regola alcuna che ne disciplinasse il rapporto. È proprio il sistema di fabbrica che dà vita alle Trade Unions e, quindi, ai contratti di lavoro.



Oggi, la rivoluzione digitale è già presente all’interno dei luoghi di lavoro e anche nel nostro Paese ci sono imprese che si stanno innovando in un modo interessante; non a caso il nostro made in Italy continua a essere competitivo nel mondo. È chiaro che il digitale, come è stato per la macchina a vapore, stravolgerà non solo l’organizzazione del lavoro ma anche la vita delle persone. E, chi scrive, crede in meglio.

Innanzitutto – e questo non può non essere chiaro ai cugini tedeschi – si andrà nella tendenza di rendere i luoghi di lavoro sempre più “umani”: concretamente, le persone non lavoreranno di più; al di là delle ore, il lavoro flessibile – in particolare lo smart working – renderà più conciliabili i tempi di vita e i tempi di lavoro. Le persone lavoreranno meglio e la produttività del lavoro crescerà per questo. La produttività che cresce può significare più salario ma anche più occupazione, questo per diversi motivi: perché le aziende crescono e quindi assumono e perché più salario significa anche più consumi; e dai consumi che crescono, ancora una volta, ne segue maggior occupazione. In sintesi, siamo al giro di boa: l’economia può ritrovare il suo circolo virtuoso.

Un’ultima osservazione: in Germania c’è chi teme che il teorema crescita uguale occupazione si rivelerà fallace: nonostante l’economia tedesca sia tornata a rombare al ritmo del 2%, sono diversi i casi di aziende – da Deutsche Bank a Siemens – che stanno annunciando migliaia di esuberi. Nessuno dubita della complessità della fase che stiamo attraversando, ma, ancora una volta, basta studiare la storia: la macchina a vapore distrusse lavoro ma ne creò di nuovo. È il fenomeno che Joseph Schumpeter – tanto caro a Sergio Marchionne – chiamava “distruzione creativa”. Tuttavia, come diceva Antonio Gramsci, “la storia insegna, ma non ha scolari”.

Twitter: @sabella_thinkin