RIFORMA PENSIONI. Nella commissione Bilancio del Senato sono in corso le votazioni sugli emendamenti presentati al disegno di legge della manovra finanziaria per il 2018. Comunque vada non uscirà un testo particolarmente innovativo. I gruppi sembrano piuttosto orientati a volare basso anche nelle critiche. Ben pochi, ad esempio, hanno notato e diffuso le osservazioni puntuali che Gianfranco Polillo (ex sottosegretario all’Economia del governo Monti) ha rivolto al provvedimento. “Le voci della legge di bilancio che hanno una contropartita finanziaria, secondo gli schemi della contabilità europea – ha scritto – sono ben 230. Un vero e proprio record rispetto ad un passato abbastanza lungo. Altro che assalto alla diligenza dei tempi bui della Prima Repubblica. Questa volta abbiamo fatto meglio. Tanto più – prosegue Polillo – che queste poste per quasi il 90 per cento impegnano somme inferiori ai 100 milioni e per il 65 per cento sono addirittura inferiori ai 10 milioni. Che si tratti di micro-decisioni è fuori dubbio. Tanti piccoli bonus distribuiti – conclude – per accontentare una platea sempre più vasta e potersi presentare alle prossime elezioni, sventolando un piccolo trofeo”. Più che di un trofeo sarebbe il caso di parlare di uno scalpo.



Chi non si è accontentato di micro-decisioni in materia di pensioni sono stati i sindacati i quali hanno ottenuto parecchi benefici dal governo in cambio della possibilità (la Cgil si è comunque dichiarata contraria e ha convocato una manifestazione per sabato prossimo 2 dicembre) di rispettare i termini previsti (il 31 dicembre prossimo) per il varo del decreto amministrativo necessario ad adeguare in modo automatico l’età di pensionamento di vecchiaia e il requisito contributivo per la pensione anticipata rispetto all’incremento dell’attesa di vita riscontrato dall’Istat. La critica della Cgil si è spinta fino a ridimensionare l’ammontare degli oneri stimati non solo dal governo, ma “bollinati” dalla Ragioneria generale.



Secondo l’organizzazione di Susanna Camusso, le misure proposte dall’esecutivo e contenute nell’emendamento in cui sono state raccolte comporterebbero oneri per poco più di 61 milioni in un triennio. La relazione tecnica che ha accompagnato l’emendamento calcola – come è previsto dalle regole di finanza pubblica – i maggiori oneri in un decennio per un ammontare a regime di 300 milioni nel 2027. di cui 166 milioni a titolo di maggiore spesa pensionistica (a cui si aggiungono 44 milioni di minori entrate fiscali e 89 milioni di maggiori versamenti datoriali). Presentati così questi dati sembrano rassicuranti. È sufficiente però sommare l’onere cumulato nel decennio (anziché considerare solo quello dell’anno dell’andata regime) per accorgersi che soltanto per la maggiore spesa pensionistica le modifiche comporteranno oneri per 1,2 miliardi (2,1 miliardi circa quanto a oneri complessivi).



Poi, parliamoci chiaro, ci vuole poco a immaginare che – ammesso e non concesso che “tenga” l’aggancio automatico per il quale il governo ha già proposto una rivisitazione per il 2021 – la questione dei lavori gravosi (come tali esonerati dagli incrementi legati all’attesa di vita) diventerà una sorta di medaglia che, a ogni Legge di bilancio, qualche nuova categoria vorrà appuntarsi al petto. Un po’ come la telenovela degli esodati che rivendicano la nona salvaguardia a ben sette anni di distanza dalla riforma Fornero. Grey’s anatomy si aspetti il sorpasso.