Circa 10 anni fa partiva l’operazione Pomigliano. D’accordo con le rappresentanze sindacali – compresa la Fiom – i lavoratori dello stabilimento Giambattista Vico beneficiavano di una formazione intensiva che, sulla base del World Class Manufacturing, li preparava al rilancio dell’azienda torinese. Qualcosa andò storto durante questi corsi e da lì una prima frattura importante tra Fiat e Fiom. Due anni dopo, quando si trattò di discutere le condizioni per la ripartenza, le divergenze si ripresentarono e ne nacque quel caso che è ormai noto alle cronache di tutto il mondo e su cui sono state scritte le più grandi assurdità che la storia recente possa ricordare.
Nessuno tra gli analisti – nemmeno i più ottimisti – avrebbe mai immaginato che Fiat sarebbe diventata in così poco tempo quello che è oggi. La casa automobilistica torinese rinasceva, anche grazie alla più estesa ed efficiente rete commerciale ottenuta dalla fusione con Chrysler. Ma, soprattutto, Fiat ripartiva grazie agli accordi sindacali innovativi, cuciti su misura alla vitale esigenza di esaltare produttività e competitività, che convinse gli investitori – tra cui il Tesoro americano – a garantire una montagna di miliardi di euro nelle ristrutturazioni degli stabilimenti italiani e statunitensi, all’epoca in stato agonizzante.
Come non ricordare noti personaggi nostrani dare dell’imbroglione a Marchionne, e dei venduti a quei pochi sindacalisti che vollero firmare contratti collettivi “eretici”. Contro il rilancio Fiat si mobilitarono i partiti di sinistra delle varie colorazioni, le più grandi banche, importanti imprenditori, i loro giornaloni, la Rai, ecc. Ognuno di loro aveva un motivo: chi perché avversava la finanza d’oltreoceano, altri per invidia, alcuni per ideologia, poi i soliti che si accodano sempre al potere dominante. Poi, di fronte ai successi di Fca, più nulla da dire, tutti silenziosi e disattenti.
Venendo ai giorni nostri, come ha sottolineato una recente nota della Fim-Cisl, dal 2013 a oggi il gruppo è passato, al netto dei pensionamenti, da 65.300 a 66.200 occupati e ha visto calare drasticamente l’utilizzo delle ore per ammortizzatori sociali dal 27% al 5%. Anche i dati di produzione hanno registrato fino a settembre di quest’anno un andamento sempre crescente e si è passati, dalle circa 600mila vetture del 2013, a 1 milione in chiusura del 2017.
Si registrano però dei rallentamenti nella produzione e giustamente le rappresentanze sono preoccupate. Tutto andava a gonfie vele sul mercato asiatico: non appena messa in vendita sulla piattaforma e-commerce Alibaba, in Cina sono stati venduti 1000 esemplari di Giulia “Milano limited edition” in un minuto e mezzo. Alfa Romeo ha consegnato 1.006 Stelvio ai rivenditori cinesi nel mese di giugno, 2.666 in luglio e solo 227 in agosto. Maserati ha seguito lo stesso trend, consegnando in media 350 Levante in luglio e agosto, in calo da una media mensile di oltre 800 unità nella prima metà dell’anno.
Secondo qualche analista, gli obiettivi di vendita di Fiat Chrysler per Levante, Giulia e Stelvio potrebbero essere stati troppo elevati. È così? In realtà, sono i cambiamenti delle normative sugli stock dei mercati asiatici a determinare una contrazione delle vendite. Ciò naturalmente non può non preoccupare le organizzazioni sindacali. Questo è l’anno in cui ci si aspettava di riportare gli stabilimenti alla piena occupazione; e, invece, non solo a fine anno scadono gli ammortizzatori sociali, ma va monitorata a questo punto la tenuta occupazionale in particolare a Cassino e Mirafiori. Senza contare che anche a Pomigliano l’azienda contava di dismettere la produzione della Panda – riportandola in Polonia – per sostituirla con un nuovo modello della linea Premium.
Insomma, il Lingotto si ritrova oggi a dover ripensare l’intera produzione e, non a caso, è previsto per maggio 2018 un nuovo piano industriale. Certo è che, al di là di quelle che possono essere le migliori intenzioni dell’azienda, se ci saranno novità ci vorrà del tempo per implementarle, e quindi l’anno prossimo avremo qualche complessa ricaduta sull’occupazione negli stabilimenti.
Torneranno a farsi sentire le cassandre che non aspettano altro che un passo falso di Marchionne. Va a proposito ricordato che azienda e sindacati hanno resuscitato un’industria che, con il suo indotto, vale oltre 500.000 posti di lavoro. Questo è noto anche al Presidente della Commissione Industria del Senato che, tuttavia, da giornalista del Corriere della Sera non lo ha mai scritto. Ma è noto, a Mucchetti non piace che Marchionne preferisca il maglioncino alla cravatta.
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