Incavolati neri e offesi, mortificati, incapaci di esprimere apertamente la propria rabbia, ma anche di dimenticare e di perdonare, in una parola rancorosi. Così il Censis dipingeva, alcuni giorni fa, gli italiani di oggi. Se, infatti, l’Italia è, nonostante tutto, in uscita dal tunnel – l’economia ha ripreso a crescere, trainata dall’industria manifatturiera, dall’export e dal turismo che hanno messo a segno risultati da record -, questo non impedisce che in parallelo dilaghi, sempre più, l’amaro sentimento del rancore. Questo, assieme alla nostalgia di un mondo che fu, e che mai tornerà, finisce tra l’altro per condizionare le dinamiche delle scelte politiche in particolare di chi è rimasto, ahimè, indietro ingrossando (inevitabilmente?) le fila dei diversi movimenti sovranisti e populisti.



Non sembra, insomma, esserci stata una ridistribuzione “equa” del dividendo sociale dell’attuale ripresa economica con il conseguente, e tragico, blocco della mobilità sociale. Tema particolarmente delicato, in questo contesto, è quello delle pensioni di oggi e di quelle (virtuali) del prossimo futuro. Si pensi che, ce lo ha ricordato ieri l’Ocse, la prospettiva per un ventenne italiano che ha iniziato a lavorare nel 2016, se avrà, fortunatamente, una carriera lavorativa senza interruzioni e se saranno applicate le attuali regole, andrà in pensione a “solamente” a 71 anni e 2 mesi.



Il calcolo, realizzato da questa prestigiosa istituzione internazionale, registra inoltre come l’età di ritiro dal lavoro italiano sarà la più alta dopo quella dei danesi che dovranno attendere, addirittura, fino a 74 anni. Entrambi saranno, in futuro, ben sopra la media dei paesi industrializzati, stimata attorno ai 65,5 anni.

Ci viene, quindi, ricordato come nel “lontano” 2013 la spesa per le pensioni in Italia fosse pari al 16,3% del Pil (14% in termini netti), inferiore solo al 17,4% della Grecia, pari a quasi il doppio della media Ocse (8,2%) e in aumento di quasi il 21% rispetto al 2000. Per effetto delle recenti riforme (alcune anche molto contestate e/o contestabili), l’incidenza nel tempo è destinata ad attenuarsi, scendendo al 15,3% nel 2020 e al 13,8% nel 2060, ma restando, in ogni caso, sopra la media Ocse.



Come si pongono su questo tema le nuove, e vecchie, proposte politiche in vista delle elezioni di marzo? Nel 1975, un secolo fa, un giovane cantautore calabrese ci diceva che nonostante ci fosse chi viveva in baracca, chi sudava il salario, chi amava l’amore ed i sogni di gloria e, ahimè, rubava, già allora, pensioni, il cielo era sempre più blu. La sensazione, poco rassicurante, è che anche il cielo per i ragazzi di oggi sia decisamente più nuvoloso.