Gli italiani sono per natura divisivi. O meglio, secondo la legge individuata da un grande filologo francese del secolo scorso, la forza dicotomica una volta scatenata agisce fino in fondo. Basta pensarci: una volta c’era la DC, poi si divise fino alla scissione dell’Ncd, che è un po’ come scindere l’atomo. Oppure si guardi al Pci: anch’esso cominciò a dividersi, forse un po’ prima della DC, e ora … ora dal grande fiume siamo passati al contrasto tra sottocorrenti di microscopici rivoli agricoli! Ecco gli italiani sono così: non sanno come stare insieme e infatti appena possono si dividono. Tra Inter e Juve, tra Coppi e Bartali, tra Moser e Saronni, tra Renzi e D’Alema. Tra Guelfi e Ghibellini (almeno fino all’arrivo dei Valois!).



Così non potevamo non dividerci (perché l’umile cronista è pur sempre figlio di queste plaghe), tra statali e privati. Cioè, nella vulgata popolare, ma nemmeno troppo, tra lavoratori che prendono lo stipendio dallo Stato e lavoratori che producono. Insomma, tra lavoratori-lavoratori e lavoratori-tiratardi e fannulloni. Tra chi fa-tica e chi fa-poco o nulla per meritarsi lo stipendio. Per convincersene basta frequentare i bar o, nel caso di astemìa conclamata, accendere un computer e leggere i commenti che coronano l’ultima notizia relativa ai provvedimenti contro quei dipendenti della Sanità calabrese che facevano la spesa al supermercato e giocavano alle slot machine in orario di lavoro o comunque che si dedicavano, con dubbio gusto e fantasia, al disbrigo di altre faccende private: non c’è che dire, i 18 tra medici e dipendenti degli uffici di Rogliano dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza raggiunti da misure cautelari nell’ambito di un’operazione anti-assenteismo dei carabinieri non hanno reso un bel servizio ai loro colleghi.



Intanto perché mentre quelli stavano al lavoro, magari cercando di mettere una pezza con buona volontà e fantasia a qualcuna tra le carenze strutturali di un settore, quello sanitario, che (a Cosenza ma non solo …) presenta qualche deficit organizzativo, loro se la spassavano bellamente a spendere denaro giocando d’azzardo. E poi perché in fondo “sfottono” tutti gli altri dipendenti pubblici, dai sanitari ai militari, dai docenti a quei finanzieri che pattugliano il canale di Sicilia alla ricerca di disperati: questi non vanno alle slot, hanno mogli e mariti che ne reclamano la presenza a casa e si lagnano per le loro assenze a causa del lavoro, non hanno salari tali da consentir loro di buttare denaro dalla finestra giocando d’azzardo.



Ecco, per esperienza diretta chi scrive sa che i primi a crocifiggere i furbetti della macchinetta timbratrice sono proprio quei loro colleghi che al mattino arrivano in orario, fanno il loro dovere, sono fieri di lavorare bene, perché se la paga è bassa si sentono comunque cucita addosso la dignità del loro compito. Ciononostante proprio questo ennesimo episodio, e le reazioni che esso ha scatenato, qualche ulteriore riflessione la richiedono.

La prima riguarda i meccanismi “garantisti” insiti in molti contratti pubblici. Qualcuno dice che sono ipergarantisti, quasi impossibili da scardinare. È vero. Sono meccanismi assai formali, tipici di un diritto amministrativo tutto giocato sulla forma. Ma come dice qualcuno, anche la forma può essere sostanza: e dai dirigenti della Pa ci si aspetterebbe una certa capacità di usare le norme a difesa non della loro tranquillità, bensì del servizio per cui sono pagati.

Perché i dirigenti? Perché sono proprio loro, i dirigenti, i superiori dei lavativi (ma anche di tutti gli altri) che nei singoli servizi devono decidere, di volta in volta, quali comportamenti tenere di fronte a quelle violazioni, quel lassismo, quel fannullonismo cronico e quella pervicace incapacità di vincere la pigrizia che sono presenti (anche) nei dipendenti pubblici. E se la cronaca non dice quante volte pubblici lavoratori siano stati licenziati per inadempienze, assenteismo, malattia più degne dell’immortale Arpagone, il malato immaginario di Molière, che di un ospedale, per convincersi che sia così basterebbe sfogliare qualche annuario statistico.

Ormai, infatti, neppure i sindacati autonomi, i tanti sindacatini di nicchia sorti anni or sono per garantire quel che da numerosi anni Cgil, Cisl e Uil non vogliono assicurare, sono in grado di aiutare i furbetti del cartellino. Solo che sembra che una certa pubblica opinione goda nel chiedere al sindacato di licenziare: quello però è un compito che tocca, per natura e per stipendio, alla dirigenza. Oneri e onori del ruolo. Il sindacato, per contro, da anni (pur tra qualche lentezza e reticenza) si è reso conto che la difesa dei furbi coincide con la condanna di quei lavoratori che sono invece seri. E tra chi delinque e chi si applica la scelta è facile ed è stata fatta.

Per finire alcune altre considerazioni di contorno. La prima riguarda la coscienza pubblica. Le indagini calabresi (ma potevano anche essere valdostane o marchigiane, poco importa), sono partite dalle insistenti segnalazioni di cittadini che hanno incrociato nelle strade della città quei dipendenti dell’Asl provinciale occupati nelle faccende più disparate. Dunque esiste un controllo sociale, un’attenzione alla legalità, al servizio pubblico: come esiste l’elogio per chi lavora. E se anche da questo partisse una nuova stagione contrattuale? Se anche (ma non solo) il giudizio degli utenti fosse motivo di riflessione e di impegno finanziario per uno Stato che troppo spesso fa le cose a metà?

Perché premiare i bravi e gli onesti e punire i furbi e i disonesti non sia solo un’attività delegata a qualche cronista o alla pubblica coscienza, ma divenga anche un modo per riformare una macchina che ha così tanti buchi e così tante anomalie da rendere possibile per qualcuno andare a timbrare al lavoro in mutande. Attività e contegno che, oggettivamente, non si vedono spesso neppure nelle bistrattate stanze dei nostri ospedali e delle nostre scuole (re)pubblicane.

Ma, diciamocelo, fa più rumore un vigile in mutande dei tanti che in divisa si danno da fare per le strade. Almeno fintanto che questi ultimi non ci fanno una multa. In quel caso ognuno di noi è pronto a sussurrare/sbraitare urlandogli contro che sarebbe meglio fossero rimasti a casa o che andassero a giocare alle slot machine. Il che però ci fa sorgere una domanda: ma non è che i pubblici dipendenti saranno uguali a tutti gli altri italiani? O viceversa: non è che gli altri italiani saranno precisi ai pubblici dipendenti, e che quindi il popolo del Bel Paese non è poi così diviso in due come vuol (far) credere?