In un recente articolo, raccontando del nuovo clima instauratosi nel settore metalmeccanico industria con la firma del contratto nazionale, parlavamo della possibilità per la Fiom-Cgil di sottoscrivere gli accordi con Fca in un futuro prossimo neanche troppo lontano. A questo proposito, è la stessa organizzazione guidata da Maurizio Landini a darci un segnale di quanto questa possibilità sia tutt’altro che remota. Pochi giorni fa, infatti, in un comunicato ufficiale si leggeva, sin dal titolo, “la Fiom mette Fca sotto inchiesta” e che sta per partire una ricerca su Fca promossa dalla Fiom nazionale insieme alla Fondazione Claudio Sabattini, con la collaborazione della Cgil nazionale e della Fondazione Di Vittorio.



Perché la Fiom mette Fca sotto inchiesta? Con la firma del rinnovo del Ccnl, dopo un lungo periodo di divisioni interne al settore e, per l’appunto, dopo il grande strappo del caso Fiat, la Fiom sta operando un inevitabile riposizionamento sindacale. La battaglia della Fiom di questi anni, esplosa col caso Fiat, aveva delle ragioni che, condivisibili o meno, non sono del tutto emerse, perlomeno ai non esperti della materia. Per cui, come al solito, ne è uscita una caricatura quando ciò che c’era in gioco era il ruolo del contratto collettivo nazionale. In questo, la Fiom rappresentava l’ultima barriera sindacale, nel senso che la crescente contrattazione aziendale – che dal caso Fiat usciva esaltata – e la defiscalizzazione del salario di produttività aprono una nuova via che di fatto qualcosa toglie al contratto nazionale e lo sposta sul contratto di secondo livello. E su questo c’è stato ora un grande giro di vite proprio col recente rinnovo del contratto metalmeccanico, firmato anche dalla Fiom. 



Tale rinnovo fa molta chiarezza tra i due livelli di contrattazione: il contratto nazionale resta centrale per quel che riguarda i minimi retributivi in rapporto all’inflazione e rimanda per eventuale plusvalore salariale alla produzione di ricchezza. In sintesi: i salari possono crescere solo laddove si produce ricchezza, ovvero nei luoghi di lavoro, nelle imprese. Questo introduce un patto partecipativo per alcuni versi nuovo per il nostro Paese, segnato in modo anomalo – per essere tra le economie più avanzate – dal conflitto impresa-lavoro.

Dopo anni di battaglie, Landini ha realizzato non solo che stava perdendo terreno – cioè iscritti -, ma ha anche compreso che il desiderio dei lavoratori oggi non è più il conflitto, ma qualcosa di più partecipativo e di molto concreto: il lavoro, prima di tutto, e il salario. Questo lo ha indotto, stante anche la volontà di Federmeccanica e degli altri sindacati, a riannodare le fila con il settore dopo la lunga stagione degli accordi non unitari.



Venendo a Fca, già un anno fa – come abbiamo scritto – il Segretario Generale della Fiom aveva apertamente dichiarato la sua soddisfazione per la rinascita dell’industria dell’auto in Italia e il successo del piano Marchionne. Landini non lo dirà mai, ma sa bene che quella visione industriale che ha rilanciato Fiat è cosa rara in Italia, ed è quindi un bene per il Paese che oggi ha più che mai bisogno di crescere la sua industria se vuole restare al passo con gli altri. La battaglia contro Marchionne aveva come sfondo la sacralità del contratto nazionale. Oggi sono cambiate molte cose e tutti hanno capito – anche Landini – che la contrattazione di secondo livello è importante leva per la crescita.

Ecco perché, di per sé, motivi oggettivi per continuare a “star fuori” da Fca non ce ne sono, anche perché parliamo dell’eccellenza del nostro manufacturing. Questa inchiesta-ricerca che la Fiom sta promuovendo potrebbe essere il passaggio decisivo. Rileveranno delle migliorie da apportare nei luoghi di lavoro e, nel loro stile, le rivendicheranno, sedendosi al tavolo delle trattative per farle riconoscere. E così sarà. Anche in questo caso – come in quello del rinnovo del Ccnl – l’interesse a ricomporre la frattura è condiviso.

 

Twitter: @sabella_thinkin

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