I lavoratori precoci continuano la loro battaglia per una riforma delle pensioni che contempli Quota 41, già prevista nel ddl 857 che porta il nome di Cesare Damiano, per il quale erano già state raccolte 50.000 firme, per la cui raccolta i precoci si erano molto impegnati. E così ora è arrivata anche una petizione on line per chiedere che questo disegno di legge possa essere portato in aula alla Camera. “Il ddl 857 elaborato dall’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano prevede l’uscita a partire dai 62 anni di età anagrafica e 35 anni di versamenti contributivi andando incontro ad una penalizzazione massima dell’8% decrescente di 2 punti percentuali per ogni anno di anticipo dell’età pensionabile che è fissato fino ad un massimo di quattro anni. Per i lavoratori precoci, invece, si prevede l’uscita con Quota 41, ovvero dopo il raggiungimento di almeno 41 anni di contributi effettivamente versati senza considerare l’età anagrafica e senza penalizzazioni”, si legge nel testo della petizione indirizzata a Presidente della Repubblica, Presidente della Camera, ministro del Lavoro e Presidente del Consiglio.



La stagione congressuale della Cisl è partita e anche la Federazione nazionale pensionati vuole partecipare attivamente a questo importante passaggio. Si è visto infatti che il lavoro di federazione e confederazione ha contribuito  a rendere proficuo il confronto con il Governo sulla riforma delle pensioni. Come riporta Umbria24.it, a Terni la Fnp-Cisl ha convocato per il 10 febbraio l’assembea degli iscritti per eleggere i delegati e in una nota il sindacato ha sottolineato l’importanza di “ragionare sugli interventi messi in campo dalle istituzioni per concentrarsi e intervenire su quanto può essere rivisto e migliorato”. Questo in particolare perché la posizione dei pensionati oscilla sempre più tra coloro che sono costretti a vivere con minime al limite della sopravvivenza o assegni che devono servire a mantenere anche familiari rimasti senza lavoro.



Prima dell’approvazione della riforma delle pensioni, un primo intervento all’insegna della flessibilità del Governo Renzi era stato il part-time agevolato. Una misura che non è stata molto apprezzata dagli italiani, tanto che le domande accettate dall’Inps sono state finora solo 200. Questo dato è servito a Gianluigi Paragone per criticare, in un articolo pubblicato su Libero, l’operato di Giuliano Poletti. “Giuliano Poletti è un mistero politico, è un capriccio di Matteo Renzi e del Pd i quali sconfessando l’ ex presidente della LegaCoop ammetterebbero il fallimento del Jobs Act”, scrive il noto giornalista dopo aver spiegato che secondo lui il flop del part-time agevolato è dovuto alla mancanza di fiducia degli italiani nello Stato, il quale dovrebbe farsi carico dei contributi figurativi per non far diminuire la pensione di chi ricorre a questa misura.



Marine Le Pen ha tenuto ieri un discorso che sembra segnare l’inizio della sua campagna elettorale. E la leader del Front National sembra avere in mente una piccola riforma delle pensioni sull’onda del protezionismo alla Trump. I commentatori in effetti oggi parlano di una certa affinità della Le Pen con il Presidente americano, soprattutto per le critiche all’Europa e alla Nato. In caso di vittoria, vorrebbe infatti che la Francia lasciasse il comando integrato dell’alleanza atlantica e avvierebbe i negoziati per l’uscita dall’euro e dall’Unione europea, da sottoporre poi a un referendum tra i francesi. Quanto alle pensioni, Marine Le Pen vorrebbe imporre una tassa del 3% su tutte le importazioni e utilizzare i proventi per aumentare le pensioni più basse e anche i salari dei lavoratori. Un’altra idea per ricavare tali risorse sarebbe anche quella di tassare le imprese francesi che hanno delocalizzato all’estero per poi vendere nel mercato francese.

Come noto, la legge sulle unioni civili in Italia rappresenta una piccola riforma delle pensioni, dal momento che, come ha chiarito anche l’Inps con un apposito messaggio, ciascuno dei componenti dell’unione viene parificato al coniuge di un matrimonio per quel che riguarda il riconoscimento del diritto alle prestazioni pensionistiche e previdenziali. In buona sostanza, anche per le unioni civili varranno le regole sulla reversibilità delle pensioni. Dunque, come ricorda Il Sole 24 Ore, è importante riuscire a capire quale potrebbe essere la platea dei beneficiari di queste nuove prestazioni. Secondo i dati del censimento Istat condotto nel 2011, le coppie omosessuali in Italia erano poco più di 7.500. Tuttavia lo stesso Istituto nazionale di statistica ha detto che si tratta di un dato che potrebbe essere sottostimato, in virtù del fatto che tiene conto solamente di quelle coppie che hanno deciso di dichiarare il loro status.

Per questo l’Inps ipotizza, partendo dai dati demografici di altri paesi europei come la Germania, che ha una legge simile a quella italiana, che entro il 2033 saranno 50.000 le coppie omosessuali nel nostro Paese. Ciò premesso, Il Sole 24 Ore ricorda che le pensioni di reversibilità sono pari al 60% dell’importo della persona deceduta e, nel caso siano determinate con il metodo contributivo, non comportano l’integrazione al minimo. Bisogna poi tenere conto che in caso si abbiano dei redditi, l’importo della pensione di reversibilità può subire decurtazioni (fino al 50%).

Con la sua audizione in commissione Lavoro del Senato, Giuliano Poletti ha dato una risposta piuttosto esauriente alla critiche di Tito Boeri alla riforma delle pensioni contenuta nella Legge di stabilità. Il Presidente dell’Inps, infatti, riteneva che aumentasse troppo il debito implicito. Tuttavia il ministro del Lavoro ha spiegato le sue ragioni, segnalando tra le altre cose che l’Ape social non andrebbe conteggiata tra gli interventi previdenziali, bensì assistenziali. Maurizio Sacconi ha quindi riconosciuto a Poletti di aver fornito un chiarimento importante. Soprattutto perché ha dichiarato che la riforma delle pensioni non subirà modifiche, ben inteso al ribasso. Di fatto gli interventi saranno quelli descritti nella Legge di stabilità, anche se per l’Ape bisognerà attendere i decreti attuativi necessari a farlo partire per tempo a maggio. Anche su questo, in ogni caso, il ministro ha dato ampie garanzie sul fatto che non ci saranno ritardi.

Sacconi, tuttavia, fa notare che tra gli interventi della riforma delle pensioni manca qualcosa. “Rimane peraltro assente uno strumento di uscita anticipata dal mercato del lavoro nel quadro di ristrutturazioni produttive in quanto la soluzione del part-time e quella a totale carico dell’impresa non sono state utilizzate se non in pochissimi casi da ex aziende pubbliche”, ha infatti scritto l’ex ministro sul blog dell’Associazione amici di Marco Biagi. Sacconi ha anche specificato di cosa c’è bisogno: di “una misura che garantisca la continuità dell’ultimo reddito e dei relativi contributi negli ultimi anni che precedono la pensione distribuendone gli oneri tra datori di lavoro e Stato”. In questo modo, ha aggiunto, sarà possibile avere flessibilità pensionistica senza costi particolarmente onerosi per le casse dello Stato.