La Cgil ha, nei mesi scorsi, raccolto più di un milione di firme a supporto della sua Carta dei diritti universali del lavoro e dei tre quesiti referendari a essa legati: abrogare l’abuso dei voucher e le norme che impediscono il reintegro in caso di licenziamenti illegittimi, aumentare la trasparenza in materia di appalti. In quest’ultimo caso, ad esempio, l’abrogazione delle norme vigenti che, secondo il sindacato guidato dalla Camusso, limitano la responsabilità solidale degli appalti, si propone di difendere i diritti dei lavoratori occupati in appalti, e subappalti, coinvolti in processi di esternalizzazione, assicurando loro tutela dell’occupazione nei casi di cambi d’appalto e contrastando, allo stesso tempo, le pratiche di concorrenza sleale messe in campo dalle imprese non rispettose del dettato normativo. 



L’obiettivo è, quindi, quello di rendere il regime di responsabilità solidale omogeneo, applicabile in favore di tutti i lavoratori a prescindere dal loro rapporto con il datore di lavoro. Ripristinando, insomma, la responsabilità in solido tra appaltante e appaltatore, si ritiene che si potrebbe garantire la stessa dignità a tutti i soggetti che, direttamente o indirettamente, contribuiscono alla crescita dell’impresa.



Il secondo quesito era, per semplificare, quello sull’articolo 18. Secondo la normativa vigente post-Jobs Act, un licenziamento ingiustificato prevede il pagamento di un’indennità che cresce con l’anzianità di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità per le imprese con più di 15 dipendenti. In questo caso la Cgil chiedeva attraverso il referendum che il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento disciplinare giudicato illegittimo fosse esteso anche per le aziende sotto i 15 dipendenti, fino ai 5.

Vi è poi il referendum sul tema più “caldo” di questi giorni: i cosiddetti “voucher lavoro”. Secondo la Cgil, infatti, sempre più spesso, attraverso l’utilizzo dei voucher il lavoratore accetta impieghi pagati al ribasso e vede azzerati i propri diritti con una risibile contribuzione ai fini previdenziali. Sempre per il sindacato “rosso”, quindi, è necessario cancellare i voucher perché questi non combattono il lavoro nero, bensì il loro utilizzo fraudolento determina una sommersione anziché un’emersione del lavoro irregolare.



Sulla legittimità di questi tre quesiti è stata chiamata a decidere, quindi, la Consulta. Sono stati così ammessi i quesiti relativi ad appalti e voucher e rigettato (come si prevedeva) quello, la cui ammissibilità avrebbe probabilmente portato ad elezioni politiche a breve, sull’articolo 18. Martedì il Consiglio dei Ministri ha, quindi, deciso la data della Consultazione: dovremmo andare a votare, se non interverranno modifiche che possano disinnescare i quesiti, il prossimo 28 maggio.

Con riferimento, ad esempio, ai voucher, una soluzione ancora possibile potrebbe essere quella di tornare sostanzialmente alla formulazione originaria della norma presente nella Legge Biagi del 2003. Il rischio, infatti, è che con il referendum si elimini un prezioso, se utilizzato correttamente e con limitazioni di buonsenso, strumento di flessibilità e si irrigidisca ulteriormente il mercato del lavoro italiano post Jobs Act. L’esito del quesito referendario potrebbe poi avere un impatto sulla politica italiana simile a quello del 4 dicembre e probabilmente l’Italia non può permetterselo.