Lo scorso 11 gennaio, la Corte Costituzionale aveva dichiarato ammissibile il quesito referendario proposto dalla Cgil che mirava all’abolizione tout court della normativa vigente in tema di lavoro accessorio, riportando al centro del dibattito mediatico la sorte dei cosiddetti voucher, i buoni lavoro che rappresentano la forma di remunerazione delle prestazioni di lavoro accessorio. Il Governo, dopo aver fissato per il 28 maggio la data del referendum ammesso dalla Consulta, con il Consiglio dei Ministri del 17 marzo ha dato ufficialmente il via libera al Decreto legge recante “disposizioni urgenti per l’abrogazione delle disposizioni sul lavoro accessorio” nell’intento di bypassare, di fatto, la consultazione referendaria indetta.



Pertanto, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto legge, non sarà più possibile acquistare nuovi voucher per remunerare le prestazioni di lavoro (è previsto un regime transitorio fino al 31 dicembre 2017 per i buoni già richiesti alla data di entrata in vigore del decreto). L’intervento del Governo, risolvendosi in una mera eliminazione dei buoni lavoro, oltre a sposare le posizioni sostenute dalla Cgil, va a creare un pericoloso vuoto normativo andando a cancellare le caratteristiche positive dello strumento in oggetto, con pesanti ricadute sulla lotta al lavoro irregolare e sullo sforzo teso all’emersione del nero.



Proprio con specifico riferimento all’emersione del lavoro nero, secondo un recente studio pubblicato dalla Fondazione dei Consulenti del lavoro, 800 mila lavoratori che sono stati retribuiti mediante i voucher erano precedentemente del tutto sconosciuti al mercato del lavoro regolamentato. È indubbio che riuscire a “strappare” 800 mila lavoratori su un totale di lavoro sommerso che è stimato in circa 3 milioni di unità rappresenta un risultato positivo. Difatti, se è pur vero che all’indomani dell’introduzione dei voucher lavoro si è assistito a una situazione d’abuso, è anche vero che i decreti correttivi del Jobs Act erano intervenuti per cercare di arginare le distorsioni registratesi nella prassi. Ciò non significa che il sistema non necessitasse di un intervento di riforma che implementasse la normativa esistente nell’ottica di una maggiore tracciabilità degli stessi.



A tal proposito, si ritiene opportuno segnalare come il Parlamento stesse già valutando alcune ipotesi di riforma della normativa del lavoro accessorio decisamente più equilibrate rispetto all’eliminazione tout court dell’istituto. Vi era già, infatti, all’esame del Legislatore una proposta di legge (la C. 3601, primo firmatario l’on. Damiano) che mirava a modificare e a riscrivere gli artt. 48-49-50 del D.Lgs. 81/2015 in materia di lavoro accessorio. La finalità della proposta Damiano era quella di circoscrivere l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell’istituto, riportando la normativa sul lavoro accessorio sostanzialmente alla previsione originaria, proprio con l’obiettivo di affinarla e prevenirne l’utilizzo smisurato.

Attraverso un elenco tassativo di prestazioni che potevano essere effettuate tramite il ricorso ai voucher (quali i piccoli lavori domestici, l’insegnamento privato supplementare, i lavori di giardinaggio, di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti, la realizzazione di manifestazioni sociali, ecc.) e una lista di prestatori di lavoro accessorio individuati tra cosiddette categorie deboli (disoccupati, casalinghe, studenti e pensionati, ecc.) la proposta di legge Damiano cercava di affrontare in maniera seria e sensata il problema dell’abuso del ricorso ai voucher. Il Governo, invece, per esigenze di natura politica, ha optato per la soluzione più semplice e drastica, senza valutare attentamente le conseguenze dell’abolizione tout court dello strumento.

È indubbio che la normativa del lavoro accessorio necessitasse di un intervento di riforma; un intervento, però, atto a migliorare e affinare la disciplina esistente e non a eliminarla. Insomma, pareva preferibile un lavoro di bisturi, piuttosto che un taglio secco e netto che rischia di lasciare unicamente un vuoto normativo. Con l’eliminazione dei buono lavoro, infatti, tutte le prestazioni a carattere occasionale e accessorio, a cui difficilmente si può applicare una differente forma contrattuale del nostro ordinamento, rimarranno prive di qualunque tipo di garanzia e tutela. L’unico strumento utilizzabile da oggi potrà essere solo il cosiddetto lavoro a chiamata.

Al vuoto e all’incertezza che si sono creati grazie all’intervento del Governo sarebbe stato senza dubbio preferibile, da un lato, un sano e regolare utilizzo dei voucher, in linea con la ratio che portò alla loro introduzione e, dall’altro, una lotta a ogni tipo di abuso, anche attraverso una totale garanzia di tracciabilità. Ad avviso di chi scrive, non è di certo con un drastico intervento di abrogazione che si affronta un delicato e complesso problema come quello dell’utilizzo sconsiderato dei buoni lavoro, ma, lo si ribadisce, solo tramite un’attenta opera di implementazione della normativa esistente.