L’uscita di scena, almeno parziale, di Matteo Renzi sta secondo i più annoiando le cronache. “Non si parla più di niente”, si dice. Sarà, ma non può neanche essere che il Presidente del Consiglio debba tutti i giorni spendersi in proclami elettorali. Più consono, quindi, il tono controllato di Gentiloni rispetto alla carica di Primo ministro. Certo è che, sui cantieri aperti della politica, ci si aspetta che quantomeno partiti e rappresentanze tutte dicano la loro. Altrimenti, che ci stanno a fare? L’attuale momento che il nostro Paese vive, così caratterizzato dalla crisi del lavoro, è privo di un dibattito adeguato. Non che negli altri Paesi europei non esistano criticità legate all’economia e all’occupazione, ma certamente i nostri principali competitor vivono situazioni di maggior stabilità dove tutto sommato i tassi di occupazione sono in linea con quanto si prevede ai fini della tenuta sociale (75% delle popolazione attiva effettivamente occupata). L’Italia è molto lontana da questo parametro (56%), ormai da troppo tempo; ma la cosa più deludente è che al di là delle misure di poca prospettiva attuate, nemmeno ci sia un dibattito che incoraggi un intervento strutturale che possa incidere in modo decisivo sulla nostra economia. Solo la Cgil ha richiamato all’esigenza di un piano straordinario per il lavoro – è proprio quello che ci vuole -; peccato però che la strada della creazione di lavoro pubblico sia di per sé fallimentare.



Non può che essere l’impresa a creare lavoro, certo è che l’impresa va messa nella condizione di poterlo fare. E, invece, in Italia essa soggiace a condizioni davvero difficili, che rendono gli imprenditori che giorno per giorno resistono contro fisco e burocrazia dei veri eroi. Non che i lavoratori non siano altrettanto penalizzati: se, per esempio, consideriamo infatti il cuneo fiscale di casa nostra – ovvero il totale delle imposte che ricadono sul lavoratore (dirette, indirette e contributi previdenziali) – insieme a Germania, Francia, Belgio e Austria, l’Italia resta tra i paesi europei col livello più alto. Pare però ineludibile un intervento che possa dare fiato all’impresa nella prospettiva di sostenere il lavoro. Se in questo caso consideriamo l’impatto totale del carico fiscale sul bilancio delle imprese – il cosiddetto Total Tax Rate -, mentre Trump negli Usa promette di dimezzarlo (ora è al 44%), ci accorgiamo – ma non è una scoperta – che il nostro Paese (62%) è ben oltre la media nell’area euro (43,5%) e oltre i livelli dei nostri principali competitor, quali Germania (48,9%), Gran Bretagna (30,9%) e Spagna (49%). Come in Italia, anche in Francia è molto alto (62,8%): la differenza è che lo Stato transalpino restituisce servizi più efficaci.



È proprio l’assenza di un dibattito adeguato che porta a situazioni prive di senso come quella della cancellazione dei voucher: inutile tornare sulla vicenda – è già stato scritto di tutto e di più -; ma certamente i voucher sono passati per essere il problema del mercato del lavoro proprio perché dei veri problemi non si parla. E i veri problemi oggi sono quelli di circoscrivere un nuovo perimetro lontano da quello fordista – soprattutto dai vincoli delle 8 ore, parametro che ha governato i luoghi di lavoro per 150 anni – e sempre più prossimo alla fabbrica intelligente di Industry 4.0. Sorprende, pertanto, che la questione così vitale per l’impresa sia lasciata alla mercé del sindacato e che, in particolare l’Associazione degli Industriali, non irrompa nel dibattito scoprendo quelle carte che, per quanto “di parte” (impresa), possano alimentare un dibattito che al momento non esiste e che farebbe bene a tutti. Come si può parlare di lavoro se non si parla d’impresa?



Di recente si è parlato della tassazione sui robot, perché questi sopprimerebbero posti di lavoro. A parte il fatto che i paesi che più hanno creato lavoro in questi anni (Usa e Germania, per esempio) sono proprio quelli che più hanno investito nella robotica, ma basta pensare a quando nel lavoro ha fatto irruzione il personal computer per capire quanto folle sia l’idea di tassare i robot. L’utilizzo del pc era stato vincolato al pagamento di qualche tributo? Sorprende però che contro quest’idea di tassare i robot si siano schierati dei sindacalisti – uno su tutti Marco Bentivogli, Segretario Generale dei metalmeccanici di casa Cisl. Per difendere la creazione di lavoro – questo il ragionamento di Bentivogli – non si può gravare con tasse assurde sull’impresa. Nessuno che abbia detto nulla dal mondo degli Industriali. Domanda: agli imprenditori piace forse pagare le tasse?

Twitter: @sabella_thinkin

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