I contratti statali non vengono rinnovati da 9 anni: è l’unico problema della Pubblica Amministrazione? Errato. Tra i tanti problemi ne sorge uno, in realtà un segreto di Pulcinella per chi è avvezzo all’ambiente del pubblico impiego; i nuovi dati dell’Aran mostrano infatti come i dipendenti Pa tra i 18 e i 29 anni sono 81mila in tutta Italia, su 3 milioni complessivi di dipendenti pubblici. Un prezzo che paghiamo continuiamo con notevoli problemi collaterali che non aiutano la nostra Pa a decollare; l’età media dei lavoratori nella Pa è oltre i 50 anni ormai ed è destinato a salire se prosegue questo iter assolutamente negativo. Dall’ultimo aggiornamento dell’Aran legato all’anno 2015, tranne le forze dell’ordine che mantengono un’età media più bassa, il 41,4%, tutti gli altri settori sono in sofferenza: medici (53,1), dirigenti (54,4), docenti della scuola (51,2), professori e ricercatori universitari (53,2). Proseguendo nel documento si scopre anche come, allargano la platea agli ultimi 15 anni, la media dei lavoratori Pa si è alzata preoccupantemente: «età media è passata da 44,2 anni a 50,4 nel complesso: i dipendenti di Regioni e Comuni hanno preso 6,8 anni, quelli della sanità 4,9, le forze armate 5,4, i corpi di polizia 9,5, i ministeri 8,1, la scuola 4,5», si legge nel focus di Repubblica.
Sul fronte dei contratti statali e sul fronte dei rinnovi una delle partite più importanti è ovviamente legata al Testo Unico sul Pubblico Impiego inserito nell’intera Riforma Pa del ministro Madia sul settore Statali: in una chiacchierata sul sito de Il Fatto Quotidiano, alcuni rappresentanti sindacali giorni fa lamentavano varie inefficiente e punti oscuri sul Testo che verrà licenziato dal Ministero Pa nei prossimi giorni. Secondo Claudio Argentieri, responsabile di Usb Pubblico Impiego, settore ricerca, «il vero limite è che il Testo unico sul pubblico impiego impone che per la stabilizzazione vengano utilizzati solo i fondi ordinari, ossia quelli previsti dalla legge di Bilancio e che arrivano dai ministeri». Secondo il sindacalista infatti in molti comuni e regioni italiani i precari vengono pagati direttamente con fondi ordinari, ma nel settore ricerca il problema resta apertissimo e i finanziamenti sono molto diversi tra loro. «Se nel caso di questi specifici enti la norma prevedesse – aggiunge Argentieri sempre sul settore ricerca– l’utilizzo di tutti i finanziamenti predisposti dai ministeri vigilanti o da altre amministrazioni dello Stato (per esempio le Regioni), circa i due terzi degli aventi diritto potrebbero essere stabilizzati». Così però non accade e secondo i sindacati potrebbero ripercuotersi sull’intero settore degli Statali anche in altri settori non per forza legati al mondo della ricerca scientifica.
Le trattative non decollano ma i tempi corrono e i contratti statali non riescono a trovare ancora la conclusione degli accordi tra Ministero Pa, lavoratori, sindacati e Aran. Con il primo storico accordo quadro firmato lo scorso 30 novembre dal governo, rappresentato dal ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia, e da Cgil, Cisl e Uil, era stato posto l’accento sul “riequilibrio del rapporto tra legge e contratto”, poi però non sono stati raccolti grandi altri risultati e il rinnovo di tutti i contratti della Pubblica Amministrazione ha subito qualche battuta d’arresto, anche per problemi politici non direttamente dipendenti dal settore Pa, ma imposti dall’attuale fragile situazione politica. “Si può affermare che questo accordo è propedeutico ai rinnovi contrattuali e, pertanto, sollecitiamo il governo a preparare la direttiva per l’avvio delle trattative all’Aran”, aveva commentato pochi giorni fa il segretario confederale Uil, Antonio Foccillo. In un primo tempo si era anche detto positivo, come gli altri rappresentanti sindacali, alla direzione presa dal ministro Madia e all’Aran e da lì bisognerà partire nelle prossime settimane. «Si intravede la possibilità di ridurre il peso della legislazione a favore dei contratti e si riafferma la necessità di relazioni sindacali da riprendere».