La riforma della Pubblica amministrazione è stata approvata oltre un anno fa. Poi gli interventi della Corte Costituzionale che hanno dato ragione ai ricorsi presentati dalla Regione Veneto hanno costretto a re-intervenire sui decreti attuativi relativi al personale, ai dirigenti della sanità e al riordino delle società partecipate. Per queste ultime dovrebbe essere stata indicata la strada definitiva per una loro contrazione. Si prevede che passino da 8.000 a 1.000 circa. Sarebbe così avviato un reale provvedimento di liberalizzazione di mercati locali spesso ingessati da società pubbliche inefficienti e costose. Il principio fissato indica la chiusura per società che non raggiungono il milione di fatturato annuo. I comuni avranno tempo fino all’estate per procedere a presentare l’elenco delle loro scelte e le Regioni potranno indicare, per le società regionali, eventuali deroghe ai principi generali. Il decreto ha previsto inoltre che saranno le assemblee a decidere se vi sarà un amministratore unico o un consiglio di amministrazione.



Rimarrà ancora aperta la decisione sull’albo nazionale per le nomine dirigenziali in Asl e Ospedali. Servono ulteriori chiarimenti con le Regioni e il consenso del ministero della Salute. Il decreto più interessante è però quello relativo al personale della Pa indicato da tutti come il provvedimento contro i furbi del cartellino. Con questo decreto si sancisce il licenziamento per quei lavoratori della Pa che si fanno risultare artificiosamente presenti sul posto di lavoro essendo in realtà assenti. La sanzione riguarda il diretto interessato, ma anche il dirigente che non ha controllato e rilevato le mancanze. Identica sanzione può essere applicata per gli assenteisti seriali. Per chi è uso ammalarsi in coincidenza con festività, ponti e chiusure d’ufficio, l’Inps, come già fa per i lavoratori privati, rileverà i dati e li segnalerà alle amministrazioni competenti.



Con questo decreto attuativo si è pressoché completata la parte di riforma della Pa relativa al personale. È evidente che chi auspicava il passaggio alle regole applicate nel settore privato potrà dirsi solo parzialmente soddisfatto. Per quanto riguarda la questione che si era posta con l’entrata in vigore del Jobs Act, ossia il superamento dell’articolo 18, questo viene mantenuto per i pubblici dipendenti, conservando così una disciplina dei licenziamenti diversa da quanto previsto per il resto dei lavoratori.

La ragione principale addotta di tutto ciò è che la Pa è fatta sì di grandi strutture, ma anche di piccole realtà, nelle quali il mutare della guida politica delle amministrazioni avrebbe potuto comportare sostituzioni del personale dovute a motivazioni politiche o a contrapposizioni localistiche che avrebbero aperto innumerevoli contenziosi. A mitigare la scelta di mantenere la disparità nelle regole dei licenziamenti si è introdotto, come per i contratti a tutele crescenti del settore privato, un massimale economico al fine di favorire le conciliazioni in caso di licenziamento. La questione principe rimane però che l’accesso per concorso e una regola unica per la Pa in generale, senza le utili semplificazioni in entrata e in uscita per singole amministrazioni in funzione delle loro specificità territoriali, organizzative e funzionali, lasciano intatta la concezione del posto a vita e non favoriscono l’acquisizione di un’adesione ai compiti lavorativi con una partecipazione favorita da meritocrazia e premialità legate a valutazioni oggettive.



I fatti recenti riguardanti i 55 “furbetti” di Loreto Mare danno l’idea della complessità del problema. I 55 – medici, infermieri e impiegati amministrativi – sono agli arresti, ma con l’obbligo di continuare a prestare servizio nelle ore lavorative. La ragione è che la struttura non avrebbe potuto funzionare se tutti fossero stati tenuti fuori dal luogo di lavoro. Dato il tasso di disoccupazione della città, però, qualunque realtà privata avrebbe agito in modo diverso procedendo immediatamente alle sostituzioni.

L’impiego della riforma Madia per la Pa è anche quello di ricreare (o creare ex nuovo) un orgoglio di appartenenza per i dipendenti. L’apertura del confronto sindacale è uno dei passaggi utili per recuperare un rapporto con i lavoratori che si era sempre più sfilacciato. L’obiettivo è arrivare a un confronto che porti a trattare anche elementi di welfare aziendale, così come sta avvenendo nel settore privato. Se l’idea verrà sviluppata con la necessaria flessibilità territoriale e tenendo conto delle diverse realtà che formano la Pa (sanità, scuole, enti territoriali, ecc.) può essere anche l’occasione perché si margini quel pullulare di sigle sindacali corporative che troppo spesso caratterizzano la rappresentanza dei lavoratori in molte amministrazioni.

La valutazione che daranno i cittadini della riforma non sarà solo nel rimarcare differenze fra pubblico e privato, ma nel constatare se i servizi pubblici saranno al passo con i cambiamenti in atto nei servizi privati. Ossia se la riforma porterà a una reale modernizzazione del lavoro pubblico. Per questo serve chiarezza su due punti essenziali: anche nella Pa deve prevalere la cultura del lavoro su quella del posto di lavoro; i servizi della Pa sono creati al servizio dei cittadini e non per creare posti di lavoro. La sfida per la riforma alla fine è questa.