Oggi si festeggia l’8 marzo la Giornata internazionale delle donne. È opportuno, tuttavia, ricordarci che questa giornata è, decisamente, qualcosa di più che un po’ di mimose (felice intuizione, tra le altre, di Rita Montagnana e Teresa Mattei) e feste nei locali. Una “festa” questa nata negli Stati Uniti come il “Woman’s Day”, il giorno della donna, il 3 maggio 1908, quando durante una conferenza del Partito socialista di Chicago Corinne Brown prese la parola discutendo dello sfruttamento operato dai datori di lavoro nei confronti delle operaie e delle discriminazioni sessuali subite in termini salariali e di orario di lavoro.
Durante gli anni della Grande guerra, ovviamente, le celebrazioni furono interrotte, fin quando l’8 marzo 1917, a San Pietroburgo, le donne guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra dando l’avvio a quella che diventerà poi la Rivoluzione russa. L’8 marzo diventò così la “Giornata internazionale dell’operaia”.
Per “festeggiare” e ricordare tale evento diverse realtà del sindacalismo di base hanno proclamato per oggi uno sciopero (internazionale) generale di 24 ore sia nel settore pubblico che nel privato (lo sciopero del “Lotto Marzo”). La piattaforma proposta da @NonUnaDiMeno ci spiega poi meglio le ragioni per cui si chiede alle donne di scendere in piazza oggi.
Prima di tutto si denuncia duramente come, tutt’oggi, il Capitale sfrutti le economie informali, precarie e intermittenti prodotte dalle donne e come gli stati nazionali e il mercato le sfruttino quando si indebitano. Dopo tale premessa fortemente caratterizzata ideologicamente, e probabilmente con una prospettiva che guarda più al passato che al futuro, si passa alla denuncia di alcuni, ahimè, dati di fatto.
Le donne guadagnano, nella gran parte dei casi, meno degli uomini con un divario salariale che arriva, in media, al 27%. Ancora non si riconosce abbastanza il valore del lavoro domestico, non retribuito, che si somma, mediamente per circa 3 ore, alle giornate lavorative standard delle donne lavoratrici. Non manca nel documento una forte proposta politica: tessiamo un nuovo internazionalismo. Infatti, di fronte al neo-conservatorismo, che si considera localmente e globalmente vincente, si ritiene che il movimento delle donne emerga come una possibile alternativa.
A distanza, insomma, di un secolo dalla marcia di San Pietroburgo contro lo zarismo sembra che nulla sia cambiato e che, per assurdo, la soluzione ai problemi proposta sia addirittura la stessa. Se certamente molto si deve ancora fare per ottenere una sostanziale eguaglianza delle donne sul posto di lavoro, ma non solo, quelli proposti dalle scioperanti non sono sicuramente gli strumenti, e le soluzioni, migliori per dare risposte alle grandi sfide dei tempi difficili che siamo, uomini e donne del 2017, chiamati a vivere.