Probabilmente a Bruxelles avrebbero gradito qualche ripensamento sugli interventi in materia di assistenza e previdenza contenuti nella legge di bilancio 2017. Un’opinione pubblica distratta e prevenuta non si è accorta di quanto stava scritto in proposito nella Relazione della Commissione del 22 febbraio scorso (in cui viene giustificata la richiesta al Governo di una correzione di 3,4 miliardi). “In Italia la spesa pensionistica in percentuale del Pil – scandisce il documento – ha registrato un significativo incremento dovuto alla crisi e al relativo calo del Pil nominale ed è attualmente la seconda più elevata nell’Ue/Ocse dopo la Grecia. È positivo tuttavia che le passività implicite derivanti dall’invecchiamento della popolazione siano state ridotte, in parte grazie alla riforma Fornero del 2012, per cui l’Italia – prosegue il testo – ha una posizione relativamente buona in termini di rischi per la sostenibilità a lungo termine nonostante il livello attualmente elevato della spesa per le pensioni.



Nello specifico, stando alle previsioni d’inverno 2017 della Commissione, l’avanzo primario strutturale dell’Italia previsto per il 2018 (nell’ipotesi di politiche invariate) dovrebbe migliorare di circa 0,4 punti percentuali, al fine di mantenere stabile il rapporto debito/Pil nel lungo periodo, tenendo conto del costo dell’invecchiamento della popolazione. Tuttavia, va osservato che il bilancio 2017 – ecco la considerazione conclusiva – contiene misure parzialmente in controtendenza rispetto alla riforma Fornero del 2012, in grado di aumentare leggermente la spesa pensionistica nel medio periodo, che il citato indicatore di stabilità a lungo termine ancora non include”.



Nella “manovrina” richiesta dall’Ue dovrebbe essere compreso anche un piccolo ritocco dell’Ape social, per quanto riguarda la possibilità di accedervi per chi è stato adibito a lavori disagiati: i 6 anni in via continuativa di attività per le quali è richiesto un impegno difficoltoso e rischioso (gli operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia, conciatori, maestre d’asilo, ecc.) dovrebbero essere spalmati in un arco temporale di 7 anni (si dice che con questa misura sarebbero inclusi anche gli edili). Per quanto riguarda l’Ape volontaria è stato annunciato un ritardo nella sua entrata in vigore (previsto per l’inizio di maggio) per problemi tecnici nei rapporti con l’Inps (anche se il decreto applicativo, nelle sue linee generali, sarebbe già stato definito). Vedremo quali altre misure verranno incluse e se esse saranno ritenute adeguate dalla Commissione.



C’è da presumere, pertanto, che l’Ue avrebbe gradito, nella “manovrina”, dei ripensamenti su talune misure della legge di bilancio. Per esempio, la soppressione o il rinvio della norma sui cosiddetti precoci – certamente la più discutibile e insidiosa – avrebbero fatto risparmiare in un triennio più di 1,5 miliardi. Lo stesso si potrebbe dire per la cosiddetta quattordicesima: sarebbe bastato subordinarla alla prova dei mezzi almeno della coppia. In questi ultimi giorni, poi, l’Inps ha reso noto il monitoraggio del pensionamento del 2016 e dei primi mesi del 2017 (gennaio e febbraio). Anche in questo caso il silenzio è stato d’oro. Il can can strumentale dei talk show sfasciacarrozze continua a far credere agli italiani che, dopo la riforma Fornero, possono andare in quiescenza soltanto all’età di Matusalemme.

Secondo i dati Inps, considerando le principali gestioni (Fpld, Fondo trasporti, Fondo elettrici, Fondo telefonici, ex Inpdai, gli enti creditizi, le gestioni dei Ccdm, degli artigiani e dei commercianti) nel 2016 e nei primi mesi del 2017 chi era in possesso dei requisiti per il pensionamento di anzianità (vecchiaia anticipata) al momento della quiescenza aveva mediamente un’età intorno ai 60 anni (60,9 la media per uomini e donne). E nello scorso anno i trattamenti anticipati nei settori considerati sono stati 116mila, quasi più del doppio (60mila) di quelli di vecchiaia. Ovviamente vi sono differenze di carattere territoriale e di genere, ma la pensione di anzianità “è viva e lotta insieme”…. a loro. È influente su questo dato il numero di chi ha usufruito delle salvaguardie pro esodati, i quali hanno di solito i requisiti previsti dalle regole previgenti la riforma pensioni del 2011 per avvalersi dell’uscita anticipata.