Non si conoscono ancora molti dettagli del decreto attuativo sull’Ape social che è stato firmato dal Premier Gentiloni. Secondo pensionioggi.it, tuttavia, questo documento importante per la riforma delle pensioni conferma le indiscrezioni delle ultime settimane: ci saranno due finestre temporali per presentare la domanda di accesso. Tuttavia la prima, quella dal 1° maggio al 30 giugno, non sarà utilizzabile da tutti, ma solamente da coloro che matureranno i requisiti pensionistici entro la fine dell’anno. Di fatto, quindi, ci sarebbe già una sorta di “corsia preferenziale” per chi andrà in pensione prima. Un’altra novità starebbe nel fatto che per coloro che invece maturano i requisiti nel 2018, la domanda andrà presentata dal 1° gennaio al 31 marzo dell’anno prossimo. Dunque questa seconda finestra sarà decisamente più lontana di quanto si pensava.



Il Def ha cominciato il suo iter parlamentare, che comprende anche le audizioni delle organizzazioni sindacali. Maurizio Petriccioli, nel suo intervento, secondo quanto riportato, ha spiegato che “per realizzare una politica dei redditi che rafforzi il potere di acquisto dei salari e delle pensioni, il Governo deve dare piena attuazione agli impegni assunti con l’intesa sulla previdenza e con l’accordo sui rinnovi contrattuali nel pubblico impiego”. Dal Segretario confederale della Cisl arriva quindi un chiaro riferimento a uno dei punti che saranno discussi anche nella fase due del confronto tra Governo e sindacati sulla riforma delle pensioni, ovvero un sistema di rivalutazione degli assegni che sia più vicino alle esigenze dei pensionati e tuteli il loro potere d’acquisto.



Cesare Damiano e Marialuisa Gnecchi sono nomi molto noti a chi si interessa di riforma delle pensioni. I due deputati del Pd hanno ora dato alle stampe il volume “Pensioni: la riduzione del danno. Problemi sociali e soluzioni legislative dopo i governi Berlusconi e Monti”, che sarà in libreria a maggio. Gnecchi, parlando ad Alto Adige, ha spiegato che cambiare la Legge Fornero non è facile, in quanto mancano le risorse e l’Inps non collabora, visto che non fornisce dati precisi. “Ho iniziato l’ultima legislatura sperando di poter fare molto per correggere la manovra Fornero e sanare altri problemi. Abbiamo portato a casa il provvedimento sulle ricongiunzioni onerose e garantito a 170 mila persone di andare in pensione con le regole pre-Fornero. Altro non si è riusciti a fare: non c’era un vero governo di centrosinistra, non c’era Bersani…”, ha aggiunto.



Anche la Uil ha partecipato alle audizioni parlamentari sul Def e per bocca del suo Segretario generale ha evidenziato la necessità di rilanciare i consumi e l’occupazione, ricordando anche che nel Documento di economia e finanza non si spieghi come attuare il taglio del cuneo fiscale. Carmelo Barbagallo ha anche spiegato, secondo quanto riporta Radiocor, che “l’introduzione di forme di decontribuzione deve essere supportata da una piena fiscalizzazione che assicuri l’invarianza della copertura ai fini pensionistici e previdenziali”. Inoltre, ha fatto notare che “senza il recupero del potere di acquisto dei salari e delle pensioni, l’economia rischia di non ripartire dal momento che la grande maggioranza del nostro sistema produttivo e industriale si rivolge alla domanda interna”.

Giuliano Cazzola critica le posizioni del Movimento 5 Stelle in tema di riforma delle pensioni. Nelle sue punture di spillo su Formiche.net, l’ex deputato evidenzia che pare che i pentastellati vogliano far sì che vi sia “un sistema privato a capitalizzazione, con garanzia di uscita flessibile (ovviamente con la liquidazione del trattamento maturato in rapporto ai contributi versati, in modo volontario, e dei rendimenti ottenuti dal loro investimento sui mercati finanziari)”. Tuttavia ci sarebbe un problema da risolvere, visto che l’attuale sistema è a ripartizione e quindi qualcuno dovrà pur pagare le pensioni in essere, visto che oggi sono erogabili grazie anche ai contributi versati dai lavoratori che il Movimento 5 Stelle vorrebbe fossero “riservati” ai loro futuri assegni pensionistici.

In un intervento Pier Paolo Baretta ricorda come gli interventi di riforma delle pensioni attuati in Italia dagli anni ’90 in poi abbiano portato conseguenze negative per le pensioni basse e i per i Millenials. I giovani, infatti, con l’introduzione del sistema contributivo rischiano di essere penalizzati una volta entrati in quiescenza se non avranno avuto carriere stabili prive di periodi di disoccupazione. Senza dimenticare che anche l’età di ingresso nel mondo del lavoro ha in questo senso il suo peso. Per il sottosegretario all’Economia occorre quindi trovare risposte al problema, senza però alterare l’equilibrio del sistema pensionistico. “La risposta sta in due scelte”, scrive Baretta, specificando che la prima consiste nel “favorire un’integrazione esplicita e organica tra pubblico e privato”. In pratica bisognerebbe incentivare l’adesione dei giovani a fondi pensione integrativi, anche perché, soprattutto nei primi anni di lavoro, non hanno la possibilità di accantonare grosse cifre da destinare al proprio futuro previdenziale. La seconda scelta passa per una riforma del sistema fiscale. 

Per l’esponente del Pd bisogna poi fare in modo di incentivare l’istruzione superiore prevedendo “una contribuzione gratuita fissa per gli studenti in corso che completano il proprio percorso di studi, senza il riscatto degli anni di laurea”. Infine, Baretta non nasconde che bisognerebbe pensare a un contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro per finanziare interventi di solidarietà tra le generazioni.

Il Movimento 5 Stelle in questi giorni continua la sua discussione sul mercato del lavoro e la riforma delle pensioni per approntare il proprio programma. Sui social, tuttavia, i pentastellati continuano a fare parlare di sé per la proposta di applicare la Legge Fornero anche ai parlamentari. Tra i membri del gruppo Facebook 41xtutti lavoratori uniti l’idea piace molto, soprattutto perché c’è chi ritiene che così forse i politici capirebbero le difficoltà che hanno i comuni cittadini. C’è però chi vorrebbe che venisse abolita la Legge Fornero per far sì che venga dato spazio alla Quota 41 in modo da applicarla poi ai parlamentari. O chi, più semplicemente, propone di applicare i privilegi dei politici a tutti. Anche se questo appare francamente poco economicamente sostenibile.

La riforma delle pensioni che doveva operare una riduzione dei vitalizi nel mondo politico anche a livello di consigli regionali non sembra aver pienamente funzionato. La Repubblica ha pubblicato infatti un articolo-inchiesta per evidenziare che solo Lombardia, Friuli, Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Trentino, Val d’Aosta, Veneto e Puglia si sono “messe in regola” con la decisione del 2014 di ridurre i vitalizi dei consiglieri regionali. Il quotidiano romano segnala i “casi emblematici” di Sicilia e Sardegna. La prima ha applicato tagli solo a chi percepisce più di 90.000 euro, mentre la seconda ha deciso di bloccare la rivalutazione dei vitalizi rispetto all’andamento dei prezzi.