Un fantasma si aggira nell’universo delle strutture produttive, pronto a divorare – palesandosi – milioni di lavoratori, rubando loro il posto di lavoro, dopo averli sostituiti con dei robot. È lo spettro dell’automazione, evocato dalle colonne del Corriere della Sera da Davide Casaleggio, nell’anniversario della morte del padre. «Nel giro di dieci anni – scrive l’erede del profeta che ha inventato la via informatica alla democrazia diretta – faremo un salto tecnologico incomparabile rispetto a quello fatto in tutto il secolo scorso. La velocità con cui si sta evolvendo la tecnologia è impressionante: il problema per la società è proprio questo. Non abbiamo mai dovuto affrontare uno stravolgimento così repentino e massiccio. Lo shock più forte sarà nel mondo del lavoro. Avremo milioni di disoccupati in tutto il mondo perché ci saranno software e robot intelligenti molto più efficienti».
Casaleggio jr. non è il solo che evoca scenari tanto inquietanti. È uscito un saggio di un sociologo originale come Domenico De Masi che – per contenere l’offensiva dell’automazione spinta – suggerisce addirittura ai disoccupati di prestarsi a lavorare gratuitamente allo scopo di indurre gli occupati a diminuire il loro impegno lavorativo, redistribuendo così il lavoro che c’è e quello, ridimensionato, che ci sarà.
Alla luce di questi scenari sembra superfluo occuparci delle statistiche che segnalano piccoli spostamenti (addirittura di decimali) che avvengono nel mercato del lavoro. Sul Bollettino di Adapt, a Francesco Seghezzi – con una tecnica comunicativa moderna – sono bastati 10 tweet per dare una valutazione compiuta – al di là dei numeri – dei trend del IV trimestre dell’anno scorso, come risultano dalla Nota congiunta Istat, Inps, Inail e Lavoro. “In sintesi: complessivamente occupazione in crescita, con evidente ripresa del tempo determinato e concentrazione degli occupati nella fascia over 50”. Da notare anche la diminuzione degli inattivi (-455mila rispetto all’analogo periodo del 2015). Il fatto che diminuisca il numero degli “scoraggiati” indica che il lavoro c’è e la gente si attiva per trovarlo: è uno dei parametri più sensibili del miglioramento delle aspettative di crescita economica.
Anche il dato della disoccupazione giovanile tende a migliorare. A questo proposito abbiamo trovato interessante un’analisi compiuta da Claudio Negro e pubblicata sul n. 7 dell’Osservatorio sul mercato del lavoro a cura della Fondazione Anna Kuliscioff. Come segnala Negro, i dati del rapporto trimestrale congiunto non solo articolano di più le fasce di età, spacchettando per esempio, quelle tra 15-24 anni e tra 25-34, ma introducono, soprattutto, l’aspetto della dinamica demografica tra le fasce di età. È chiaro, infatti, secondo Negro, che se in una fascia di età entrano dalla fascia più giovane poniamo 100.000 nuovi soggetti, ma ne escono, per superamento dell’età limite della fascia, 120.000, diminuirà il numero assoluto dei soggetti facenti parte della fascia, e questo si ripercuoterà sul numero degli occupati di quella fascia.
Vediamo allora – continua Negro – i dati Istat relativi alle fasce più “giovani” – il rilevamento è relativo a dicembre 2016 confrontato con dicembre 2015 (dato tendenziale) e con novembre 2016 (dato congiunturale). Nella fascia compresa tra 15 e 24 anni il numero di occupati è stabile rispetto a novembre, ma in calo rispetto a luglio (-11.000 occupati), mentre il dato tendenziale è leggermente positivo (+1.000 rispetto a dicembre 2015); l’aumento che ha molto impressionato del tasso di disoccupazione (che comunque resta molto alto) è dovuto alla diminuzione del tasso di inattività: -1% rispetto al 2015 (il tasso di inattività misura la quantità di persone in età lavorativa che non lavorano, né cercano lavoro). Ci sono cioè più giovani che cercano lavoro e questa crescita non è compensata dall’aumento esiguo degli occupati. Nella fascia successiva (25-34 anni) pur se il dato congiunturale è leggermente positivo (+1,2% il tasso di occupazione) è negativo il dato tendenziale (-20.000 occupati rispetto a 12 mesi fa). Il tasso di disoccupazione anche qui aumenta (+1,8%) in relazione alla riduzione del tasso di inattività (-4,5%). In totale nella fascia 15-34 anni la statistica mostra una diminuzione di 19mila occupati. Ma, e qui c’è la sorpresa, questa fascia di età ha perso nel corso dell’anno 46mila soggetti: il saldo pertanto è positivo di 27mila unità pari a un aumento del tasso di occupazione dello 0,5%.
Concludendo, secondo Claudio Negro, l’apparente fenomeno dello spostamento dell’occupazione dalle classi giovani a quelle anziane è prevalentemente un effetto ottico, dovuto al progressivo invecchiamento della popolazione. Una sintesi un po’ paradossale, ma sostanzialmente vera, è la seguente: ci sono meno giovani occupati anche perché ci sono meno giovani.Che dire?Interpretare le statistiche non è sempre facile, soprattutto perché di solito non si va a cercare ciò che vi sta dietro. Ma il problema dei trend demografici sarà sempre più cruciale anche per quanto riguarda il mercato del lavoro.Le stime dell’organizzazione internazionale per il lavoro (Ilo) indicano che la forza lavoro globale nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni si sta contraendo di 4 milioni di unità ogni anno; e secondo alcuni economisti la contrazione dell’offerta di manodopera sarà superiore alla contrazione della domanda, dando luogo a delle labor shortages che saranno sempre più significative.
Di fatto, già oggi numerosi settori stanno denunciando difficoltà a reperire manodopera, soprattutto quella più specializzata e qualificata.