Prima Confindustria, attraverso il suo Presidente Vincenzo Boccia, e ora il governo – a parlare in questo caso è il Consigliere economico di palazzo Chigi Prof. Marco Leonardi – hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla necessità e sulla volontà di intervenire attraverso misure incentivanti a favore dell’occupazione giovanile. Al di là dei numeri della non occupazione dei giovani – disoccupazione (35%), ma anche fenomeno neet (oltre 2 milioni di inattivi) -, le stime demografiche ci dicono che la popolazione sta invecchiando: nel 2030 il 27,1% degli italiani sarà sopra i 65 anni (oggi sono il 22%), mentre la quota dei giovani tra i 25 e i 44 anni scenderà dal 26% al 22,3%. Leonardi dice che il governo sta ragionando su un target di giovani fino a 32-35 anni per cui sarà prevista una decontribuzione “più o meno piena” della durata di tre anni per il primo contratto stabile. La dote sarà “portabile”, cioè seguirà il lavoratore in caso di carriera inizialmente discontinua. Il Professore precisa che il governo sarà attento anche al contratto di apprendistato: probabilmente anche questo istituto contrattuale godrà degli incentivi.



Questo inciso del Prof. Leonardi pare particolarmente importante per una questione di fondo del nostro mercato che resta da anni molto implicita: le cause fondamentali del non lavoro giovanile sono, oltre a una questione legata certamente anche alla responsabilità individuale, da una parte, la mancanza di alternanza scuola-lavoro, dall’altra, l’assenza di un vero e proprio sistema di orientamento in grado di accompagnare in particolare la grande transizione scuola-lavoro e – last but non least – la poca inclusione che il nostro mercato mostra per i giovani. Sono i giovani, infatti, i veri portatori di innovazione, ma le nostre aziende premiano – come ricorda lo stesso Prof. Leonardi – la fascia tra i 50 e 64 anni. Questo perché storicamente le nostre aziende – a parte quelle che competono sui mercati internazionali che, naturalmente, non sono poche – non sono a caccia di innovazione. La mancanza di cultura innovativa e la resistenza al cambiamento sono ciò che tiene il nostro Paese fermo e non gli permette di ripartire.



Venendo al dunque: giusto incentivare, tuttavia è molto importante che le imprese non assumano i giovani soltanto perché “conviene”, ma capiscano che sui giovani vanno fatti investimenti e programmi di crescita seri. Ciò può dare dei benefici alle imprese stesse in termini di innovazione di prodotto e di sviluppo di mercato. Affinché succeda questo, è importante quindi che la soluzione individuata non si riduca a un placement interessante per l’azienda, ma che su di essa ricada – proprio come il contratto di apprendistato prevede – una sorta di impegno formativo per il giovane. Ciò può renderlo più strutturato e competente nel lavoro e può legarlo maggiormente al luogo di lavoro. Diversamente, ancora una volta il rischio è di perdere un’occasione. E oggi l’Italia non può più sbagliare.



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