Il tema della digitalizzazione delle imprese italiane, anche alla luce dei nuovi trend globali, è sempre più al centro delle riforme di politica industriale. L’Industry 4.0 si presenta come una quarta rivoluzione industriale che, grazie all’applicazione di nuove tecnologie (quali big data, cloud computing, realtà aumentata, stampa in 3D per citarne alcune) alle tecniche produttive oggi in uso, cambia radicalmente l’attuale modo di concepire la produzione.
Quello che, tralasciando gli slogan e le promesse degli ultimi periodi, sembra non sia stato ancora pienamente valutato è l’impatto che una tale rivoluzione avrà sul mercato del lavoro. Quali nuove professionalità saranno necessarie e quali, invece, potrebbero essere destinate a sparire nel breve periodo? Quali strumenti occorrerà predisporre per cogliere appieno i benefici della quarta rivoluzione industriale? Sarà necessario rinnovare profondamente le attuali dinamiche contrattuali?
Dati alla mano si prevede che entro il 2020, a livello globale, tali nuove spinte porteranno alla creazione di circa due milioni di posti di lavoro, contro la dissoluzione di approssimativamente sette milioni delle occupazioni attuali. Le posizioni professionali maggiormente colpite dovrebbero essere relative alle aree amministrative e alla produzione con, rispettivamente, 4,8 e 1,6 milioni di posti destinati a scomparire. A compensare parzialmente tali perdite sarà, invece, la crescita nelle assunzioni nell’area finanziaria, nel management, nell’IT e nell’ingegneria.
Appare evidente, dunque, che se l’innovazione digitale dei processi industriali è in rapida evoluzione, le competenze e le abilità richieste ai futuri assunti dovranno fare altrettanto. Occorre, quindi, che il Paese predisponga tutti i mezzi necessari per cogliere appieno i benefici della quarta rivoluzione industriale, e che lo faccia in fretta. È indubbiamente necessario attuare iniziative sistemiche non solo per l’adozione e lo sviluppo di sistemi di smart manufacturing, ma anche fornire ai lavoratori le competenze digitali necessarie per svolgere proficuamente le future mansioni.
Indubbiamente, gran parte del ritardo di innovazione digitale in Italia può essere ricondotta alla mancanza o al disallineamento tra le competenze professionali richieste dal mercato del lavoro e gli attuali percorsi formativi e di specializzazione. Servirebbe, a ben vedere, ben più di quanto a oggi indicato nel Piano Industria 4.0. contenuto nell’ultima Legge di bilancio. In particolare, il piano dovrebbe essere indirizzato, da un lato, a fornire alle imprese (soprattutto le Pmi) e alla Pa strumenti di aggiornamento della forza lavoro e di ricollocamento assistito volti a colmare i gap formativi rispetto alle nuove tecnologie; dall’altro, a creare un sistema scuola-impresa realmente integrato, che superi interventi caratterizzati da una carenza di visione strutturale.
Le soluzioni introdotte nel nostro Paese, da questo punto di vista, sembrano, dunque, ancora poco consistenti. La Legge di bilancio stabilisce difatti una linea programmatica sull’allocazione di fondi e risorse nei diversi settori, ma non indica chiaramente una strategia sul lungo periodo ben articolata e concretamente realizzabile.
In sintesi, per riuscire a beneficiare dell’Industry 4.0, si dovrebbe pensare, prima ancora di occuparsi della rivoluzione del processo industriale, a creare una vera cultura dell’industrializzazione del processo, investendo sulla formazione delle persone che dovranno operare sui nuovi macchinari. E tale investimento non può che passare attraverso una scuola sempre più moderna e percorsi universitari e formativi finalmente volti a creare figure professionali più coerenti con ciò che il mondo del lavoro oggi richiede.