In un periodo di legislatura tutt’altro che vivace, il lavoro autonomo trova riconoscimento nelle pagine del diritto del lavoro. È stato infatti approvato dal Senato il testo del ddl sul lavoro autonomo e agile che, partito da palazzo Madama, faceva ritorno nella stessa aula con qualche modifica apportata dalla Camera dei deputati. Si tratta di un provvedimento storico: per la prima volta il legislatore riconosce dignità a un popolo (stiamo parlando di oltre 9 milioni di lavoratori) che negli ultimi 20 anni, per via delle trasformazioni del lavoro, è sempre più cresciuto in numero e, parallelamente, in precarietà. Non tutti i lavoratori autonomi lo sono di fatto, solo una minima parte sono alte professioni (avvocati, notai, medici, ecc.); va tuttavia riconosciuta la complessità del fenomeno e la difficoltà di leggerlo quantitativamente in modo puntuale.



Di fatto, sono state ampliate tutele e diritti a circa 2 milioni di professionisti e partite Iva. Tra le ultime modifiche apportate al provvedimento, la precisazione che tutte le amministrazioni pubbliche debbano promuovere, in qualità di stazioni appaltanti, la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici per le prestazioni di servizi; e ai bandi per l’assegnazione di incarichi personali di consulenza o ricerca (senza fare così concorrenza alle imprese). Confermato poi per i lavoratori autonomi che prestino la loro attività in via continuativa per il committente, la conservazione del rapporto di lavoro, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, in caso di gravidanza, malattia o infortunio.



Il testo prevede inoltre congedi parentali per i lavoratori iscritti alla Gestione separata dell’Inps (per un massimo di 6 mesi entro i primi 3 anni di vita del bambino), “paletti” per arginare i ritardi dei pagamenti nei confronti degli autonomi, spese per la formazione detraibili fino a 10.000 euro annui. E, ancora, estesa la Dis-coll (l’indennità di disoccupazione per i collaboratori coordinati e continuativi) ai ricercatori universitari e disciplinato il lavoro “agile” (o smart working) attraverso l’uso degli strumenti tecnologici.

A oggi completamente ignorato dal sindacato – ma sono in molti a ritenere che per cultura c’è poca affinità tra questo popolo e le organizzazioni sociali -, il fenomeno delle partite Iva ha finito negli anni della crisi col rivelarsi il segmento più colpito e più debole del mercato: sempre più precario contrattualmente e sempre meno sostenuto nel momento della cessazione del rapporto, gli autonomi sono il corpo sociale che più è scivolato verso il rischio di povertà ed esclusione. Il legislatore punta oggi a rafforzarne l’inclusione, certo che il loro “fare” e il loro know-how sono preziosi per la crescita.



Si poteva fare di più? Si può sempre fare meglio; è indubbio però che le tutele hanno un costo. E che questa legislatura sia la prima a investire sugli autonomi, oggi un po’ meno precari di ieri.

Twitter: @sabella_thinkin