In altra occasione, si è accennato all’assegno di ricollocazione (Adr), misura di politica attiva consistente nel riconoscimento al disoccupato di una somma in denaro, destinata a finanziare l’erogazione a suo favore di servizi intensivi alla ricerca attiva di lavoro da parte di operatori pubblici (Cpi) o privati accreditati, liberamente scelti dallo stesso. Recuperando in parte precedenti e differenti (nel nome e nei modi) esperienze regionali, l’Adr è ora previsto e disciplinato dall’art. 23, d.lgs. n. 150 del 2015. Si tratta probabilmente della prima misura di politica attiva a carattere “nazionale” effettivamente centrata, da un lato, sulla persona in cerca di lavoro, valorizzatrice, dall’altro, del raccordo tra operatori pubblici e privati, chiamati entrambi a erogare un servizio di assistenza intensiva alla ricerca di lavoro. Pur se l’apporto degli operatori privati è solo eventuale, il beneficiario potendo liberamente scegliere se spendere l’Adr presso un centro per l’impiego (Cpi) o un operatore privato all’uopo accreditato.



Peraltro, le ridotte disponibilità finanziarie hanno indotto il legislatore a limitare la platea dei beneficiari a coloro che siano: 1) percettori della Nuova prestazione di Assicurazione sociale per l’impiego (Naspi) e 2) in stato di disoccupazione da più di quattro mesi. A quasi 20 mesi dall’introduzione dell’Adr, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) – con la delibera n. 1/2017 e l’avviso pubblico del 27 febbraio scorso – ne ha avviato la sperimentazione su un campione di circa 30.000 disoccupati con i requisiti richiesti, selezionati mediante procedura di estrazione casuale dallo stock dei potenziali destinatari. È un primo passo che potrà offrire importanti indicazioni per la messa a regime di quello che dovrebbe essere lo strumento principe per un reale ammodernamento del nostro sistema di incontro. Val la pena, perciò, di richiamarne succintamente i termini.



I soggetti selezionati possono richiedere l’Adr entro il periodo di fruizione della Naspi, purché non godano già di misure analoghe erogate dalle regioni (e per la durata di tali misure). A erogare il servizio di assistenza intensiva possono essere i Cpi selezionati dalle regioni e i soggetti accreditati a livello sia nazionale, ai sensi dell’art. 12, d.lgs. n. 150 del 2015, sia regionale, ex art. 7, d.lgs. n. 276 del 2003. Per entrambi la partecipazione alla sperimentazione è subordinata a una manifestazione di interesse.

Una volta scelto, il soggetto erogatore assegna un tutor al beneficiario con cui sottoscrive anche un “programma di ricerca intensiva”, la cui inosservanza, senza giustificato motivo, determina la decurtazione di quarto o di una mensilità della prestazione (per la prima e la seconda inosservanza), seguita poi dalla decadenza dalla prestazione e anche dallo stato di disoccupazione, sanzione prevista anche in caso di mancata accettazione di un’offerta di lavoro congrua (art. 21, co. 7, lett. a e d). Il servizio di assistenza intensiva si intende concluso quando siano trascorsi 180 giorni solari dal suo avvio, a meno che il beneficiario non trovi anticipatamente occupazione con contratto di lavoro di almeno sei mesi.



Volta a incentivare l’effettività e l’efficacia dell’azione degli erogatori è la modalità di erogazione dell’Adr. La sua entità, infatti, varia tra un minimo e un massimo determinato in relazione al valore dell’indice di profilazione del disoccupato (grado di probabilità di restare disoccupato) e al tipo di contratto costituente il risultato occupazionale: da 1.000 a 5.000 euro per un contratto a tempo determinato, da 500 a 2.500 per un contratto a termine superiore o uguale a 6 mesi, da 250 a 1.250 per uno inferiore a sei mesi. In caso di insuccesso occupazionale, invece, è previsto il riconoscimento di una quota fissa d’entità contenuta e comunque eventuale, perché correlata a una “soglia minima” di successi occupazionali nei 6 mesi precedenti. Non resta che attendere gli esiti della sperimentazione.