Sono passati quasi cinquant’anni. Era il 1968 quando la contestazione studentesca prese piede in tutta Europa aprendo la strada l’anno successivo alle lotte sindacali, in particolare agli scioperi per il rinnovo del contratto di lavoro dei metalmeccanici. Erano gli anni i cui si stava spegnendo il miracolo economico, in cui l’apertura a sinistra stava ridisegnando i rapporti politici, in cui il disagio sociale cresceva e in cui trovavano forza i primi terribili segnali del terrorismo. Le risposte della politica erano spesso velleitarie, più legate alla ricerca dell’estensione dell’area del consenso che a un razionale progetto di architettura sociale: l’esempio più clamoroso è stato quello dell’istituzione delle regioni, apparse subito come un ampliamento sostanziale del perimetro della spesa pubblica. Con l’attesa di un nuovo assistenzialismo, come dimostra la rivolta di Reggio Calabria.
Sul fronte sindacale sono anni di grande fermento. È del 1970 lo Statuto dei lavoratori, è del 1972 il contratto unitario dei metalmeccanici in cui vengono raggiunti risultati importanti come l’inquadramento unico operai-impiegati, aumenti salariali uguali per tutti, il riconoscimento del diritto allo studio attraverso l’istituzione delle 150 ore di permesso retribuito. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti con una presenza sindacale che spesso ha frenato le innovazioni. E con il tema del mercato del lavoro e delle sue riforme in primo piano, sempre più nei suoi aspetti problematici che in quelli decisamente costruttivi.
Le vicende del sindacato, e in particolare il lungo cammino tra il contratto dei metalmeccanici del 1972 e quello sottoscritto, di nuovo in forma unitaria, nei mesi scorsi, viene raccontato con particolare passione da Giuseppe Sabella nel libro “Rivoluzione metalmeccanica, dal caso Fiat al rinnovo unitario del contratto nazionale” (Ed. Guerini e associati, pagg. 150, euro 15,50) con interventi di Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl e Fabio Storchi, presidente di Federmeccanica. Un libro che racconta i difficili passaggi del confronto sindacale e non è un caso che uno spazio significativo sia riservato alla vicenda Fiat, con tutti i riflessi che ha comportato, ma che nel suo complesso ha aperto la strada alla logica dell’innovazione contenuta con determinazione nell’ultimo contratto.
E proprio riferendosi a questo Bentivogli afferma: “In un Paese che si divide su tutto i metalmeccanici hanno dato un esempio significativo di ricomposizione su un terreno di innovazione e di capacità di sintesi attorno a un comune obiettivo: quello che tiene gli interessi e i diritti dei lavoratori insieme ai problemi delle imprese e più in generale dell’economia del nostro Paese”. E questo perché il nuovo contatto non si è chiuso solo con una rivendicazione economica, ma è apparso come una porta aperta perché, sia a livello nazionale, sia a livello settoriale e quindi aziendale, si possano attuare soluzioni in grado di associare le esigenze delle aziende di recuperare produttività e competitività con le richieste dei lavoratori per avere un maggior benessere partendo dai luoghi di lavoro.
“Imprese e sindacati dell’industria metalmeccanica – sottolinea Fabio Storchi – hanno infatti compiuto una grande svolta culturale, hanno recuperato la dimensione unitaria del confronto e, soprattutto, hanno scelto di affrontare un mondo che cambia. I contenuti e le soluzioni del contratto nazionale concorrono a delineare le relazioni industriali del futuro. Una prospettiva scandita dai processi di digitalizzazione che accompagneranno il nostro sistema industriale e il Paese nella dimensione di Industry 4.0. Concetti come centralità del lavoro e della persona, condivisione degli obiettivi e dei rischi, partecipazione attiva, fabbrica a misura d’uomo, entrano così a pieno titolo nel lessico dell’industria italiana considerata nella sua totalità e, dunque, senza distinzione tra datori di lavoro e organizzazioni sindacali. La sfida è lanciata. È tempo di impegnarsi con passione ed entusiasmo per iniziare a realizzare ciò che insieme abbiamo scelto di fare”.
L’industria e il sindacato sembrano aver superato la fase di conflittualità esasperata per consolidare invece un cammino già aperto da tempo a livello locale e aziendale dove le sirene della politica e le spirali dell’ideologia incidono meno. E non sono solo le grandi aziende a essere impegnate sul fronte del rispetto e della valorizzazione delle persone. Anche per le piccole imprese, grazie agli stessi sindacati e alle associazioni imprenditori, si apre una prospettiva di welfare aziendale, di partecipazione, di condivisione di scelte e strategie.