Non tutte le scuole superiori hanno pensato di proporre ai propri studenti l’iscrizione all’AlmaDiploma, come non tutte le università hanno fatto analoga proposta per l’AlmaLaurea. Eppure, credo, compito delle istituzioni formative oggi, più di ieri, è quello di “accompagnare”, più che il semplice insegnare o trasmettere nozioni e informazioni. Perché l’accompagnamento dice qualcosa di più, cioè come la formazione, volenti o nolenti, sia davvero l’interfaccia della vita, quindi anche del mondo del lavoro. Il quale non è altro e lontano, come si è più volte pensato, ma dentro il cammino di formazione e di ricerca personale e sociale. Solo chi il lavoro lo cerca o l’ha perso o ne fa uno alienante può dire meglio di altri come stanno le cose.
In questi giorni, ad esempio, le scuole superiori, che hanno iscritto i propri ragazzi ad AlmaDiploma, stanno ricevendo una comunicazione nella quale, in sostanza, si informa che è in corso l’indagine sugli “esiti” a distanza dei diplomati a uno, a tre e a cinque anni dal diploma di maturità, del 2016, 2014 e del 2012. Un’indagine specifica, con report puntuali, sul percorso formativo e professionale. Penso qui, tanto per capirne l’importanza, a tutti quei dati che, intrecciati con i percorsi di alternanza attuati dalle scuole (400 ore per i tecnici e professionali, e 200 ore per i licei), possono portare a un ripensamento, in termini di efficacia, proprio in ragioni delle concrete situazioni che i ragazzi poi incontreranno: subito, se non sceglieranno la via universitaria, oppure dopo la laurea.
Perché l’alternanza è un momento privilegiato, se fatto bene, e non come si sente in certe scuole, per favorire una reale cultura del lavoro, non ai fini di una qualche professionalizzazione, cioè a sbocchi immediati. Infatti, visti i continui cambiamenti, è sempre bene non confondere la stessa alternanza con le esperienze di stage, che sono altre, e con una diversa finalità. Mentre l’alternanza è un percorso di cultura, non di mera pratica. Che questo intreccio porti, poi, a un ridisegno del Rapporto di autovalutazione che le stesse scuole sono tenute ad aggiornare ogni anno, penso di non dire cose fuori dalle righe.
Quanto costa questo servizio dell’AlmaDiploma? Cinque euro per ogni studente, che ho ritenuto corretto giustificare come quota parte del “contributo” che le famiglie versano ogni anno all’atto dell’iscrizione. Un servizio concreto e utile, dunque. Per facilitare, negli studenti, questa nuova sensibilità al mondo del lavoro, il mio liceo ha previsto, con l’aiuto dei genitori, degli ordini professionali e delle categorie economiche, per le classi terze l’esperienza del “colloquio di lavoro”, oggi vera cruna dell’ago, al di là degli stessi CV, anche se gli stessi studenti saranno aiutati a prepararne uno per se stessi. Sapendo, comunque, che non conta la mera lista dei titoli e delle esperienze, ma conta, prima ancora, mettere in evidenza il valore aggiunto che ognuno è in grado di proporre tenendo conto del contesto professionale individuato. Cioè contano innovazione, idee fresche, umiltà di approccio, disponibilità a imparare, ecc.: in altri termini, contano le soft skills, non solo le hard skills.
Un bell’addestramento. Che vale, paradossalmente, più per gli studenti liceali che per quelli degli istituti tecnici e professionali, tradizionalmente più vicini al mondo del lavoro. Per questo motivo dicevo: se fatta bene, anzitutto con esperti esterni, l’alternanza è una bella opportunità, assieme all’accompagnamento dell’AlmaDiploma e dell’AlmaLaurea.
Per farmi capire meglio, sono solito condividere con gli studenti e i docenti il video, di pochi minuti, dal titolo “Did you know?”, presente, in rete, anche nella versione italiana. In pochi minuti sintetizza come è cambiato, e come cambierà velocemente il nostro contesto sociale, economico, anche culturale. Quel contesto che sarà il parterre dei nostri ragazzi, e verso il quale, consapevoli o meno, si stanno già ora indirizzando. Quale la differenza macroscopica tra ieri e oggi?
Mentre, da ragazzo, decenni fa, in ogni dove sentivo parlare della dignità del lavoro, quasi una promessa di felicità, con prospettive concrete di occupazione e di qualificazione (tanto che il lavoro fu messo al centro della nostra Costituzione, come primo articolo), oggi, per l’inerzia, le chiusure corporative, le debolezze del nostro sistema Paese, non solo non si sono comprese le reali condizioni drammatiche di chi il lavoro lo perde, o è costretto a elemosinarlo, ma si è messa in crisi la naturale aspirazione a una felicità come compito personale e sociale.
Cosa rimane, dunque, ai nostri giovani in gamba? Non rimane che cercarsi strade alternative, magari all’estero, rendendo ancora più difficile è precario il nostro tessuto sociale, economico, culturale. Se quasi la metà dei nostri laureati, come è emerso nel XIX Rapporto sul profilo e sulla condizione occupazione dei laureati (AlmaLaurea), presentato l’altro giorno all’Università di Parma, si è detta disponibile a lasciare il nostro Paese, per studio o lavoro, non c’è che rimanere stupefatti. Positivamente, se pensiamo alla disponibilità a imparare da tutti e in ogni dove; negativamente, se vediamo la chiusura a riccio che domina il nostro Paese, tanto da costringerli ad andarsene. Gli altri dati, poi, che sono stati presentati: sulla buona conoscenza dell’inglese, sui tirocini o stage riconosciuti, e altri, dicono, comunque, checché se ne dica, della buona tenuta del sistema di istruzione italiano, nonostante i noti tagli e le critiche non sempre pertinenti.
Torneranno, dopo qualche tempo, questi nostri giovani? Sto notando situazioni diverse, a seconda dei contesti e delle offerte qualificate di lavoro, ma credo che, come ha ricordato in modo chiaro Lara Lago, che fa la giornalista in Olanda, rispondendo alla nota infelice battuta del ministro Poletti, che tornerebbero subito, se potessero, se cambiasse questo nostro modo corporativo, che continua a garantire i garantiti, lasciando ai margini anche i nostri giovani migliori. Tornerebbero subito.
E quei giovani che, per varie vicende, non hanno avuto la ventura di qualificare le proprie conoscenze e di raffinare le proprie competenze? Penso qui, come si è intuito, ai Neet, cioè a quei ragazzi, dai 15 ai 29 anni, che hanno mostrato di avere perso la speranza di studiare e di cercarsi un lavoro adeguato. L’ultimo Rapporto annuale Istat, da poco uscito, ci dice che questi giovani sono diminuiti di 135.000 unità, assestandosi ora sui 2.200.000, un numero comunque ancora elevatissimo. In questa situazione si trovano soprattutto le donne e i ragazzi delle regioni del Sud, nonché coloro che vivono ancora in famiglia (sono i 3/4 del totale).
Fa dunque piacere vedere che una parte di questi ragazzi, classificati Neet, sta riprendendo fiducia nel mondo del lavoro, per cui solo uno su quattro, alla fin fine, risulta del tutto inattivo, cioè vero problema sociale. Dunque, per riprendere il filo d’apertura, cultura ed educazione a un’idea positiva del lavoro, inteso come sensibilità, forma di realizzazione, responsabilità personale e sociale, strumento di equità e di pari opportunità.
Pensando ancora a questi giovani, mi viene in mente una battuta del vecchio Platone: “Il capolavoro dell’ingiustizia consiste nel sembrare giusti, senza esserlo”.