Alain Finkielkraut, intellettuale francese di origine ebraica, ripete spesso che “il silenzio muore, il rumore prende dappertutto il potere”. Spesso, tuttavia, avviene che il rumore prenda il potere in modo silenzioso; e questo è il paradosso. È questo il caso di ciò che è successo dopo la vicenda Fiat, esplosa nel 2010 con il contratto di Pomigliano. Ma, detto con altre parole, è l’effetto di una frattura all’interno del movimento sindacale che origina nel 2001 col mancato accordo unitario sulla ricezione della direttiva europea sul contratto a termine, si concreta nel 2009 col primo accordo interconfederale non unitario e manifesta tutta la sua patologia col caso Fiat. 



È proprio l’incapacità di rispondere ai cambiamenti dell’economia globale in modo compatto che rende il movimento sindacale così debole tanto che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul caso Fiat – che nei fatti afferma il diritto di rappresentare anche qualora non si firmino contratti aziendali -, esplode il fenomeno delle rappresentanze insolite e dei contratti apocrifi: nel 2010 il numero dei contratti collettivi nazionali era di circa 400, ora siamo a più del doppio.



In questa situazione, molto rumorosa ab origine, ma poi alquanto silenziosa, le Parti hanno provato a metterci una pezza con il Testo Unico sulla Rappresentanza (gennaio 2010), il quale però può solo disciplinare tra coloro che lo firmano e non tra le rappresentanze insolite che non hanno nessun interesse a vedersi regolare il loro perimetro e la loro azione dalle confederazioni maggioritarie che – secondo l’articolo 39 della Costituzione – avrebbero dovuto “stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”. È chiaro che in questo contesto così frammentato è difficile che il lavoro possa ricevere quella spinta propulsiva che può accompagnare la grande trasformazione di Industry4.0.



Tuttavia, il recente rinnovo del contratto collettivo metalmeccanico ha il merito di fare quadrato su alcuni principi che da oggi possiamo ritenere universalmente condivisi nell’ambito del movimento sindacale tradizionale, vedi in particolare il rapporto tra i due livelli contrattuali, il significato del salario e della produttività del lavoro, il welfare e la formazione come diritto soggettivo. L’intesa, per certi versi sorprendente, tra Fim Fiom Uilm (che da anni erano su posizioni diverse) e Federmeccanica e Assistal poi, chiarisce i sospesi anche tra Cgil Cisl Uil e Confindustria, tanto che un eventuale accordo generale – che qualcuno dice servire, qualcun altro no – non può che ratificare quanto fatto dai meccanici.

Il punto è però un altro: se le confederazioni hanno ancora un senso, questo va trovato, insieme al Parlamento, nella definizione di un nuovo assetto regolatorio che possa andare a definire in modo nuovo chi ha titolo e diritto di rappresentare e su quali basi. Il futuro dell’economia e dell’industria chiede sempre più regole chiare e generali che possano poi trovare il loro dettaglio e la loro specificità nei luoghi di lavoro. Ecco perché serve semplificazione e perché il numero dei contratti deve diminuire. Ma la situazione è sfuggita di mano, anche se nessuno lo dice; c’è bisogno di rimettere le cose in ordine, ma ciò può avvenire solo e soltanto con una legge sulla rappresentanza sindacale.

Twitter: @sabella_thinkin

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