Nell’articolo della scorsa settimana mi sono azzardato a sollevare qualche interrogativo di carattere tecnico sull’AC 3225 a prima firma dell’on. Richetti del Pd (anche per lui vale, parafrasando G.B. Show, “l’importanza di chiamarsi” Matteo) contenente norme per l’abolizione dei vitalizi e la loro trasformazione in pensioni calcolate con il metodo contributivo affidate a un’apposita Gestione presso l’Inps. Come sempre accade quando si parla di pensioni (figuriamoci poi se si tratta di vitalizi di ex parlamentari!) c’è sempre qualcuno che si dà cura di dimostrare di chi sia madre quella signora sempre incinta. Mi ero sostanzialmente preoccupato di alcuni aspetti di quel progetto di legge: a) la decorrenza del ricalcolo contributivo; b) quali aliquote applicare; c) l’esigenza di finanziare la nuova Gestione previdenziale che nasce senza un euro in cassa, mentre avrà il compito di continuare a erogare i trattamenti pensionistici vigenti (ovvero gli ex vitalizi che hanno cambiato pelle).



Soprattutto i primi due punti si tengono insieme: il calcolo contributivo fa capolino nell’ordinamento previdenziale italiano a partire dal 1996. Questa decorrenza vale anche per il ricalcolo dei vitalizi percepiti, oppure ne è prevista un’altra persino anteriore legata all’inizio del mandato? A seconda della soluzione adottata si deve stabilire che cosa succede ai vitalizi erogati prima del 1996 oppure chiedersi perché non sia prevista l’applicazione delle aliquote contributive di volta in volta vigenti, anziché quella prevista del 33% che fu introdotta, in pratica, a partire dal 1996. Non si tratta di cercare il pelo nell’uovo.



In qualche modo questo progetto di legge sarà approvato dalla Camera prima della pausa estiva. È meno sicuro che divenga definitivo prima della scadenza della legislatura, soprattutto se si andrà a votare a settembre. Poi, a mio avviso, i presentatori di questo progetto hanno commesso almeno due errori, anch’essi interconnessi. Agire per legge ordinaria significa che le nuove norme sono sindacabili dalla Consulta (che quasi certamente le giudicherà contrarie alla Costituzione proprio perché retroattive). Se il Parlamento avesse provveduto in regime di autodichia (ovvero in piena autonomia attraverso decisioni della Presidenza), probabilmente la Corte si sarebbe astenuta dal giudicare la delibera. L’altra questione è ancora più complessa: se si applica un meccanismo di calcolo retroattivo a trattamenti erogati secondo le norme al momento in vigore, perché limitarsi agli ex parlamentari e non a tutti i pensionati italiani che, in quote pressoché totali, godono di un assegno calcolato con il metodo retributivo?



Speravo di trovare risposte ai miei quesiti nella lettura degli emendamenti. Purtroppo non è stato così. Nella prima Commissione (Affari Costituzionali), competente in materia, sono stati depositati un numero infinito di emendamenti, difficilmente riconducibili a una linea comune. È difficile quindi fare previsioni su di un possibile esito (che pure ci sarà per motivi essenzialmente politici, giacché nessuno vorrà restare con il cerino acceso tra le dita). Dagli emendamenti, tuttavia, emergono alcune linee di fondo, a proposito dei problemi che anch’io ho sollevato. Una parte consistente delle proposte emendative è rivolta a mantenere il sistema pro rata stabilito alla fine del 2011 (fino ad allora il regime del vitalizio, dal 1°gennaio 2012 il contributivo). La compensazione viene trovata in un robusto contributo di solidarietà per cinque anni della quota secondo le regole del vitalizio. Un altro gruppo di emendamenti allarga la revisione sia all’indennità parlamentare, sia alle voci dei rimborsi spese ora in chiave difensiva e cautelativa, ora in una logica più spartana. In altri casi si cerca di estendere la nuova disciplina anche ad altre categorie e istituzioni (persino alla Corte Costituzionale).

La maggior parte delle proposte, tuttavia, continua a muoversi lungo l’impostazione del progetto Richetti, senza degnarsi di dare risposte adeguate ai problemi non risolti. La preoccupazione dei firmatari è quella di evitare che con il nuovo metodo di calcolo l’ex parlamentare vada a percepire un assegno più elevato.

In conclusione, non è chiaro l’indirizzo complessivo che assumerà il provvedimento. Corre voce, però, che al Senato qualcuno proporrà di ricalcolare tutte le pensioni degli italiani. Lo farà in modo evidentemente provocatorio. Ma come faranno i censori a dire di no? Resto in trepida attesa di essere nuovamente insultato. Prego però che i miei critici decidano se sono un radical chic di sinistra, un conservatore, un reazionario o addirittura un fascista. Mi sembra difficile essere tutte quelle cose nel medesimo tempo.