L’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) fino al 31/12/2015 si chiamava Isfol. Nonostante il nuovo nome, l’ente si occupa sempre dei medesimi problemi sotto la vigilanza del ministero del Lavoro. Di recente ha pubblicato uno studio (“Riforma delle pensioni e politiche di assunzione: nuove evidenze empiriche” di Roberto Quaranta e Andrea Ricci) in cui viene proposto un bilancio degli effetti della riforma del 2011 sull’occupazione, in particolare giovanile, in conseguenza dell’incremento (che il rapporto definisce “significativo”) dell’età pensionabile di vecchiaia e di anzianità. Circola, infatti, una leggenda metropolitana secondo la quale ci sarebbe la riforma pensioni della Fornero tra le principali ragioni della disoccupazione giovanile, a causa del rinvio del pensionamento dei lavoratori più anziani. È opportuna, quindi, questa ricerca – necessariamente empirica, perché non sono possibili dati certi – per fare un po’ di chiarezza su di un tema tanto delicato e oggetto di svariate polemiche nei talk show che spacciano fake news come se fossero verità rivelate.



Nel Rapporto sulla riforma delle pensioni si richiama anche la più recente letteratura in materia. Viene infatti ricordato un contributo del 2016 di Boeri, Garibaldi e Moen ricavato dal monitoraggio su 80mila imprese (con più di 15 dipendenti) nel periodo intercorrente tra il 2008 e il 2014. Secondo gli autori, per ciascun lavoratore “‘bloccato” per una durata di cinque anni si è perduto circa un nuovo occupato. Proiettando questo esito sull’insieme delle imprese con più di 15 dipendenti rimaste attive per tutto il periodo considerato, i nuovi requisiti per l’accesso al pensionamento avrebbero ridotto le assunzioni di 37mila unità. D’altra parte, secondo altre ricerche, le nuove regole avrebbero determinato un aumento del 9% dell’incidenza dell’attività formativa da parte di lavoratori in età compresa tra 40 e 54 anni.



L’analisi empirica dell’Inapp sulla riforma pensioni è condotta nel 2015 su di un campione di 30mila imprese del settore privato extra-agricolo. Da essa risulta che la riforma Fornero avrebbe prodotto un cambiamento nei piani di assunzione programmati nel periodo 2012-2014 per circa il 2,2% delle aziende considerate, con la conseguenza di mancate assunzioni per 43.285 dipendenti. In sostanza una perdita di nuovi ingressi pari a circa lo 0,5% del totale dei dipendenti stimato nel 2014 (poco meno di 9,5 milioni) e al 3,1% se rapportato al numero di assunzioni potenziali. La tabella qui sotto riprende le principali variabili della ricerca.



Per quanto riguarda i settori, l’incidenza delle imprese che hanno rinunciato ad assumere è pari al 6,7% nei servizi finanziari e assicurativi, del 3,8% nell’industria e del 3,9% nei trasporti. Vi è poi una correlazione tra la dimensione aziendale e la propensione ad assumere. Nelle piccole imprese (fino a 15 dipendenti) solo l’1,6% ha rinunciato in tutto o in parte a nuove assunzioni, mentre la quota di quelle con più di 250 dipendenti ha superato il 15%. Quanto alla dislocazione territoriale, le imprese che hanno rivisto i piani di assunzione dopo la riforma delle pensioni sono state in misura del 2,6% nel Nord Ovest, del 2,4% nel Nord Est, dell’1,7% nel Centro e dell’1,8% nel Sud. In valori assoluti la maggior parte delle 43.285 mancate assunzioni si sono concentrate nell’industria (19.947), nel commercio (6.692), nei trasporti (4.709) e nelle costruzioni (4.221).

Il clou del problema sta, tuttavia, in un altro dato: l’età dei mancati assunti. In media il 30% dei lavoratori ha meno di 35 anni, il 45% ha un’età compresa tra 35 e 50 anni, il 25% più di 50 anni. Non corrisponde, allora, a verità che sia stata penalizzata solo e prevalentemente l’occupazione giovanile (pur in presenza di una riduzione significativa – tra il 4,7% e il 2%). In conclusione, il Rapporto riconosce che “l’incremento dei requisiti minimi par accedere ai diritti pensionistici ha generato una limitata riduzione dell’occupazione giovanile ed un’analoga contrazione dei contratti a tempo determinato (la forma contrattuale usata per l’assunzione dei giovani, ndr), mentre vi è stato un incremento della formazione professionale”.

Ne deriva la valutazione per cui “l’effetto della riforma pensioni si sia esplicato più che nei margini intensivi delle scelte di assunzione (quanti lavoratori assumere, ecc.), nelle modalità di organizzazione dei mercati interni del lavoro e sugli incentivi ad investire in capitale umano e in capitale fisico, anche per favorire la produttività del segmento più anziano della forza lavoro”.