Un interessante convegno su Industria 4.0 organizzato a Milano dall’Ansa – che ha colto anche l’occasione per lanciare sull’argomento il suo nuovo portale – aiuta a fare chiarezza intorno a uno dei punti più controversi della quarta rivoluzione industriale, e cioè l’impatto che avrà sul mercato del lavoro. In pratica il timore diffuso è che l’introduzione in fabbrica di macchine digitali governate da metodi di produzione innovativi possa distruggere occupazione come conseguenza dell’uso sempre più massiccio dell’automazione. Il che, considerando i tempi, sarebbe una vera e propria iattura.



È vero che a ogni salto tecnologico il mondo ha creduto di vivere lo stesso dramma e che alla fine di ogni ciclo i pessimisti sono stati smentiti, ma è anche vero che al primo giro della giostra, quando cioè il meccanismo comincia a muoversi, l’esperienza insegna che una contrazione effettivamente c’è. Ma solo al primo giro, appunto, perché poi le cose cambiano e la maggiore capacità competitiva consente di conquistare più ampi spazi di mercato per occupare i quali occorre aumentare la produzione e dare impulso a nuove assunzioni in un circolo che non può che chiamarsi virtuoso.



Il racconto dei tre imprenditori chiamati dall’agenzia di stampa a condividere la propria storia -Andrea Dell’Orto, Andrea Pontremoli e Giuseppe Zampini – si è sviluppato intorno alla stessa trama: investimenti innovativi, esplosione del fatturato, sostituzione e moltiplicazione dei dipendenti. Sostituzione, perché alla fuoriuscita delle vecchie competenze legate a sistemi sorpassati (sacrificio necessario quando il processo si avvia) segue inevitabilmente l’ingresso di nuove competenze necessarie a far funzionare gli impianti del futuro in un mondo completamente cambiato. Moltiplicazione, perché quando l’innovazione prende piede e si comincia ad apprezzarne i vantaggi con gli ordini che fioccano e il giro di affari che sale, è giocoforza ricercare e accogliere i profili professionali utili ad accompagnare e ulteriormente spingere la crescita.



Il saldo tra chi entra e chi esce, secondo la testimonianza di chi opera sul campo, è di gran lunga favorevole ai primi. Nelle realtà industriali presenti al forum dell’Ansa (Dell’Orto Carburatori, Dallara, Ansaldo Energia), per fare qualche esempio, il rapporto esibito è in media di tre a uno. Ancora più rilevante dal dato quantitativo è quello qualitativo. Se a rimetterci nella fase della trasformazione sono i lavoratori poco specializzati, a guadagnare posizioni nel momento del rilancio sono persone con caratteristiche professionali molto profilate e adatte ai tempi nuovi.

Dunque è venuta l’ora dei giovani: naturalmente ben formati, adeguatamente preparati, intelligentemente consapevoli di quello che loro si chiede. E non per ragioni legate alla mera giustizia sociale o all’impegno politico di non bruciare intere generazioni, ma per sani e robusti motivi economici.

La quarta rivoluzione industriale – che si deve impadronire delle nostre fabbriche e delle pubbliche amministrazioni per spingere in alto la produttività del sistema e restituire al Paese forza competitiva – non può che compiersi mettendo in gioco le grandi e fresche energie oggi sprecate dalla mancanza di visione.