Caro direttore, in questi mesi un’importante attività congressuale si è svolta nei territori e sta trovando ora il suo ultimo atto a livello nazionale. Non si tratta dei partiti, non avremmo visto così tanta partecipazione. Si tratta invece dei sindacati, che – come del resto previsto dai loro statuti – ogni quattro anni rinnovano le loro cariche istituzionali. È ora toccato alla Cisl e alle sue federazioni di categoria, l’anno prossimo sarà la volta della Cgil.



Ti scrivo perché quest’anno, per la prima volta, io stesso ho preso parte ad alcuni congressi nazionali, tra i quali chimici (Femca-Cisl) e metalmeccanici (Fim-Cisl). In precedenza mi era capitato di partecipare a qualche attività congressuale nei territori o regionale, mai avevo partecipato a un congresso nazionale. Ebbene, ho visto con i miei occhi qualcosa di molto importante e di, forse, unico. E ti scrivo proprio per questo.



Chimici e metalmeccanici da sempre sono cugini un po’ rivali, sono due mondi molto diversi; non si sa da dove arrivi questa misteriosa rivalità perché seguono percorsi e modelli totalmente differenti tra di loro. I chimici in modo silenzioso hanno sempre lavorato in modo molto partecipato e congiunto, offrendo sovente soluzioni di fino al sistema delle relazioni industriali. I meccanici sono la categoria più rilevante e influente dell’industria, non fosse altro per le sue dimensioni: quasi 10% del Pil e 46% dell’intero comparto industriale. Chiaro che di loro si parli di più, come del resto avvenuto in occasione del loro recente congresso. C’è da dire che anche i meccanici nella storia delle relazioni industriali hanno riverberato sul sistema delle soluzioni che – come ha ricordato il Segretario Generale della Fim Marco Bentivogli ospite a un convegno di Think-in di cui coordino le attività – hanno fatto “politica” nel senso più nobile del termine: penso alle 150 ore, quando nel ’73 grazie al rinnovo del contratto nazionale, oltre un milione di persone poté da una parte finire la scuola dell’obbligo e dall’altra partecipare a seminari di studio all’università e negli istituti superiori, non finalizzati al conseguimento del titolo di studio, bensì alla ricostruzione di un sapere critico che sostenesse l’azione dei consigli di fabbrica sui temi prioritari dell’organizzazione del lavoro e della salute e prevenzione.



Al di là della storia di queste due gloriose categorie, vorrei qui però raccontarti il mio stupore nel vedere così tanta gente e così tanta partecipazione ai recenti congressi. Si parla ormai da anni di crisi della rappresentanza, non è che se ne parli per caso. Questa c’è ed è innegabile, sia sul fronte politico che su quello sindacale. Solo per dare un dato, però, il Pd ha 400.000 iscritti; la Cisl quasi 3,5 milioni. C’è qualcosa di diverso nel rapporto che il partito ha conservato con la sua base e ciò che, invece, il sindacato è riuscito a fare.

La triste situazione in cui si trova il nostro Paese ha delle responsabilità dall’una e dall’altra parte, non voglio qui pesare le responsabilità. Voglio soltanto dire che oggi la nostra società corre un rischio di frammentazione fortissimo, che può costare caro a tutti. La tanto decantata “democrazia diretta” è una grande illusione, che esiste solo nella testa di chi l’ha pensata, ma che tuttavia affascina molti giovani e molti elettori. Ne abbiamo già scritto, non voglio qui tornare a parlarne. Vorrei soltanto arrivare a condividere con il lettore attento di questo quotidiano di approfondimento un aspetto fondamentale: di fronte al pericolo della disintermediazione, c’è ancora un luogo che sa aggregare e che afferma costantemente il valore del corpo intermedio. Questo luogo non è il partito, è il sindacato. 

Se pensiamo inoltre al congresso dei metalmeccanici, proprio in virtù delle dimensioni del comparto (quasi 2 milioni di lavoratori), ne hanno parlato tutti i giornali e tutti i TG. Questo anche grazie a un sindacato vivace – la Fim di Marco Bentivogli – che sta guidando un processo di innovazione dell’intero movimento. È qui che voglio arrivare: la rappresentanza del lavoro sta ritrovando una proposta sindacale e, a differenza dei partiti che sono franati, ha conservato la sua base, ha tenuto insieme le persone. Non sarà difficile tornare ad avere un orizzonte protagonista e importante. Quanto ai partiti, ciò non è detto: pur in presenza di una proposta politica, la gente va riavvicinata alla politica, perché ora non ci crede più. Il primo partito è quello dell’astensionismo.

Non esiste democrazia senza partiti e sindacati, i corpi intermedi sono ciò che costituisce una democrazia che voglia dirsi tale. Il resto è letteratura nemmeno tanto interessante. Ecco perché il sindacato rappresenta una speranza importante per il nostro Paese.

Twitter: @sabella_thinkin

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