Negli ultimi giorni si è parlato molto della possibilità che l’età pensionabile possa essere portata a 67 anni a partire dal 2019 per via del meccanismo che lega i requisiti pensionistici all’aspettativa di vita. Giuliano Poletti ha spiegato che non è stata presa alcuna decisione e che il Governo attenderà di avere in mano i dati dell’Istat sulla speranza di vita prima di compiere ogni valutazione. In questa situazione di incertezza, c’è chi ha pensato di rilanciare una petizione on line per chiedere di abolire il meccanismo che lega i requisiti pensionistici all’aspettativa di vita. Anche in Parlamento qualcuno si è mosso: Walter Rizzetto ha intenzione di “rispolverare” una risoluzione presentata più di un anno fa per chiedere al Governo di impegnarsi a eliminare gli effetti negativi che l’attuale sistema di accesso alla pensione determina per i cittadini.



Cesare Damiano non ha dubbi: è giusta la richiesta dei sindacati al Governo per avviare la fase due del confronto sulla riforma delle pensioni. Anche perché sono tante le domande che sono state presentate per Ape social e Quota 41. Quindi se “le richieste saranno superiori alle previsioni, occorrerà stanziare nuove risorse al fine di evitare che qualche lavoratore venga escluso dal beneficio dell’anticipo pensionistico”. Secondo l’ex ministro è poi importante scongiurare ogni rischio di aumento dell’età pensionabile che potrebbe passare a 67 anni dal 2019. Infine, nella fase due è importante discutere e istituire la “pensione contributiva di garanzia”, che dovrebbe consentire ai giovani di ricevere “una pensione dignitosa attraverso una eventuale integrazione corrispondente all’attuale assegno sociale”. Non resta quindi che aspettare una risposta del Governo alla richiesta dei sindacati.



Patrizia Maestri è contraria a un aumento dell’età pensionabile. La deputata del Pd, dalla sua pagina Facebook, ha voluto ricordare che “è una legge del Governo Berlusconi (con la Lega in maggioranza!) che prevede che entro la fine del 2017 vi sia un innalzamento dell’età pensionabile collegato all’incremento dell’aspettativa di vita” e che giustamente Poletti ha rinviato il confronto su questo tema all’autunno, quando saranno disponibili i dati Istat relativi alla speranza di vita. Maestri ha anche spiegato che alzare l’età di pensionamento nel momento in cui sta finalmente decollando l’Ape che consente l’accesso alla quiescenza a 63 anni sarebbe “sbagliato e contraddittorio”. Dunque si aspetta che dal Governo venga mostrata “coerenza” e non si proceda ad alzare i requisiti pensionistici.



In queste ore i sindacati hanno fatto pervenire sul tavolo del Primo Ministro Gentiloni una lettera congiunta sulla quale sono stati indicati alcuni aspetti del sistema pensionistico da rivedere. Sull’argomento è stata sentita dal quotidiano Il Corriere dello Sport, la segretaria nazionale della CGIL Susanna Camusso la quale ha anche lamentato un certo abbandono da parte dell’Esecutivo sul fronte della cosiddetta fase due. Queste le parole della Camusso: “La fase 2 sulle pensioni non è mai decollata . Abbiamo l’urgenza che questa discussione si riavvii, perché leggiamo di intenzioni, in particolare del ministero dell’Economia (Mef), di dare via agli automatismi della legge Fornero sull’aumento dell’età pensionabile, che invece per noi non sono scontati. Occorre un intervento di modifica per evitare l’aumento dell’età pensionabile, soprattutto se indiscriminato anche perché non mi sembra ci sia una rincorsa all’aumento dell’aspettativa di vita come si poteva pensare qualche tempo fa”. (aggiornamento di Francesca Pasquale)

Le varie sigle sindacali in queste ore hanno fatto fronte comune presentando al Presidente del Consiglio del Ministri Paolo Gentiloni, una lettera nella quale vengono elencati una serie di aspetti delle pensioni assolutamente da riformare. Nello specifico la Cgil, la Cisl e la Uil hanno posto l’attenzione su una possibile rivisitazione dei criteri per calcolare l’assegno previdenziale dei giovani lavoratori. Inoltre, c’è stato un no deciso alla possibilità di prevedere un aumento dell’età necessaria per accedere al sistema previdenziale. Temi di cruciale importanza sui quali i tre principali sindacati italiani sembrano avere intenzione di portare avanti una battaglia unitaria. Inoltre, nella lettera c’è un chiaro riferimento alla cosiddetta fase due della riforma delle pensioni con cui c’era un accordo di massima con il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti e di cui si sono perse le tracce nel corso delle ultime settimane. Insomma, i sindacati vorrebbero riprendere il tavolo di lavoro con il Governo per cercare di apportare novità in ambito pensionistico proprio come fatto nel passato anno con l’allora Governo Renzi. (aggiornamento di Francesca Pasquale)

Arriva un allarme sulla tenuta dell’Inps, ma non a seguito di una riforma delle pensioni, bensì per l’età dei suoi dipendenti. L’Usb pubblico impiego Inps in una nota segnala infatti che “solo lo 0,4% degli impiegati ha meno di 35 anni, mentre il 76% ha più di cinquant’anni. Nei prossimi cinque anni circa 6.000 dipendenti (il 21% del totale) andranno in pensione”. Il sindacato di base spiega anche che dal 2013 a oggi si è passati da 32.000 a 28.000 dipendenti, tenendo conto che nel 2012 c’è stato l’assorbimenti del personale Inpdap ed Enpals. “Senza quegli ingressi, oggi l’Inps avrebbe circa 22.000 dipendenti per gestire più di 18 milioni di pensioni”, si legge ancora nella nota, nella quale si chiede l’ingresso di 6.000 nuovi lavoratori nei prossimi quattro anni per evitare la crisi di un’importante parte dello Stato sociale.

Oltre che alla riforma delle pensioni, i sindacati guardano con favore anche a un cambiamento della governance dell’Inps e durante l’ultima audizione alla Camera dei deputati, Claudio Durigon, vicesegretario generale dell’Ugl, e Nazzareno Mollicone, dirigente confederale dell’Ugl, hanno segnalato che non è più concepibile che la gestione dell’Istituto nazionale di previdenza sociale “sia affidata alla direzione di un uomo solo come presidente, assistito dal solo direttore generale, senza una reale capacità di incidere da parte della rappresentanza economica e sociale”. Secondo i due sindacalisti, la questione importante riguarda il ruolo e i poteri del Consiglio di strategia e vigilanza. “Il nuovo organismo che andrà a sostituire il consiglio di indirizzo e vigilanza dovrebbe avere un potere più incisivo, tale da assicurare la piena esigibilità delle proprie deliberazioni in merito all’operato del consiglio di amministrazione”, hanno detto, segnalando che tuttavia le attuali proposte di legge “si limitano a reiterare lo strumento già  presente della trasmissione del dissenso al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali”.