Osservando alcuni studi sul mercato del lavoro e le relazioni industriali si scopre – se si ha un po’ di onestà intellettuale e non ci si orienta soltanto attraverso la propaganda sfascista di quelle “fumerie d’oppio” in cui si sono trasformati i talk show di prima serata – che vi sono alcune novità che danno la sensazione che la nottata stia passando. I primi dati li prendiamo da Pietro Ichino il quale, in una recente conferenza, ha voluto documentare i trend dell’occupazione. Da febbraio 2014 ad aprile 2017, secondo l’Istat, gli occupati sono aumentati di 854mila unità di cui ben 579mila a tempo indeterminato e 362mila con contratti a termine. Poiché nello stesso periodo – sottolinea Ichino – gli autonomi sono diminuiti di 87mila (probabilmente co.co.co.), l’aumento dei dipendenti è stato di 941mila unità, di cui poco meno di 2/3 con rapporti stabili.
Un’analisi più approfondita consente di valutare situazioni ancora più specifiche. Tra queste – pur nel suo valore relativo – il rapporto tra assunzioni e cessazioni (in base alle Comunicazioni obbligatorie che i datori sono tenuti a trasmettere al ministero del Lavoro attestando tutto ciò che riguarda il rapporto di lavoro). A partire da un 2014 che segna ancora un saldo negativo (-33.627 unità) negli anni successivi vi è un cambio di segno. Molto sostenuto nel 2015 (l’anno dell’erogazione degli incentivi per le assunzioni o le trasformazioni a tempo indeterminato) con un + 611.634 unità, ma discreto anche nel 2016 (+ 321.950 unità) e nei primi tre mesi dell’anno in corso (+332.294 unità): un saldo apprezzabile quest’ultimo in quanto riferito a un solo trimestre.
Ichino, poi, propone una diversa combinazione dei dati: la differenza tra la somma delle assunzioni a tempo indeterminato, le trasformazioni dei contratti e termine e dei contratti di apprendistato e l’ammontare delle cessazioni a tempo indeterminato. Anche in quest’operazione emerge che il solo saldo negativo è quello del 2014 (- 40.849), mentre negli anni successivi il segno diventa positivo: +885.283 nel 2015, +45.978 nel 2016, +17.537 nei primi tre mesi del 2017. Questa sequenza è innegabilmente la testimonianza dell’esaurirsi della spinta alle assunzioni prodotta dagli incentivi, la cui finalità è stato senza dubbio realizzata, sia pure a caro prezzo, nell’anno-chiave del 2015. Quanto alle classi di età che hanno tratto beneficio dalla maggiore occupazione, viene smentita la leggenda metropolitana che gli incrementi abbiano riguardato soprattutto i lavoratori più anziani per effetto del lavoro forzato a cui li avrebbe condannati la riforma delle pensioni del 2011.
Un altro dato interessante proviene dal ministero del Lavoro e concerne gli accordi stipulati per incrementare produttività, redditività, ecc., i quali, com’è noto, usufruiscono di un trattamento fiscale più favorevole: un’imposta sul reddito del 10% entro il limite di importo complessivo di 2.000 euro lordi, limitatamente al settore privato e con riferimento ai titolari di reddito da lavoro dipendente di importo non superiore, nell’anno precedente, a euro 50.000. Il bonus sale a 2.500 euro se gli accordi riguardano interventi di welfare aziendale o piani di partecipazione.
Sono 22.835 i contratti aziendali e territoriali depositati. Alla data del 15 giugno 2017, 10.403 dichiarazioni di conformità si riferiscono a contratti tuttora attivi; di queste, 8.550 sono riferite a contratti aziendali e 1.583 a contratti territoriali. Dei 10.403 contratti attivi (per “attivo” si intende il contratto in cui il “periodo di validità” indicato nel modello comprende il 2017), 8.166 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 5.955 di redditività, 4.974 di qualità, mentre 1.415 prevedono un piano di partecipazione e 2.990 prevedono misure di welfare aziendale.
Da ultimo il redivivo Cnel ha presentato il 2° Report sui contratti di solidarietà. Quelli depositati nell’Archivio, anche se scaduti e rinnovati, sono in totale 1.328 contratti. Sul sito del Cnel si possono trovare tutte le indicazioni.