Diciamocelo senza infingimenti: non capita a tutti, neppure a coloro che nella vita hanno una qualche briciola di fortuna, ai “Gastone” della situazione, di poter commentare un discorso del Papa. C’è chi lo fa di mestiere, e chi invece per mestiere si occupa di altro: cose nobili, intendiamoci, ma insomma, che a prima vista hanno poco a che fare con il destino di ognuno di noi. In fondo cosa c’è di più distante dall’infinito e dalla felicità che riempire i moduli che poi qualche professore dovrà consegnare in Provveditorato? E quale infinito ti pare vi possa essere nel volto di quei lavoratori cui parli in un’assemblea al mattino? Né i contratti, sancta sanctorum della Cisl, sono la Bibbia o i Vangeli. Anzi, tanto questi sono eterni quando quelli sono transeunti.
Poi però un bel giorno succede che il Papa in persona parla e che lo fa proprio a una platea di sindacalisti. Tu leggi i titoli dei lanci di stampa, vedi le sintesi e capisci che la categoria che ha più problemi non è quella dei sindacalisti, ma quella dei giornalisti. Poi ti chiama un giornalista e ti chiede di commentare. E capisci che nessun uomo è definito dalle proprie colpe. Ieri papa Francesco ha accolto e “catechizzato” un migliaio di cislini, raccolti a Roma per il Congresso. I giornali se ne sono usciti con qualche banalità, mezze letture tra il sociologico e il polemico. Niente di che insomma: sembrerebbe a sentir loro quasi che Francesco si sia dedicato soprattutto ai problemi dell’Inps e che, preoccupato delle sorti di questo nobile e antico Istituto, ne abbia parlato alla Cisl. Il che, confessiamo, sarebbe davvero una notizia: se la Madonna di Medjugorje non è, Ipse dixit, una postina, ora abbiamo imparato che il successore di Pietro è divenuto un consigliere d’amministratore delle pensioni italiane!
Senonché internet si dimostra una perfetta fregatura, perché ci trovi tutto, compresa l’integrale, come direbbero gli alpinisti, del Papa. E scopri che Francesco sarà argentino, ma non è ignaro del mondo (politico e sindacale) italiano, sarà in pensione, ma non è così sprovveduto da non conoscere quanto i suoi predecessori hanno scritto in merito. Sicché, se i due lettori che ancora rimangono, me lo permettono, saltiamo le banalità sull’Inps, i presunti accorati appelli a salvare la baracca dei conti previdenziali e andiamo al sodo. Un Pontefice non parla mai per caso e crediamo, mai con uno scopo solo. Parla invece sempre per tutti e a tutti. Del complesso discorso del Pontefice il primo tema che colpisce è l’accorato appello a non disgiungere persona e lavoro, “due parole che possono e devono stare insieme. Perché l’individuo si fa persona quando si apre agli altri, alla vita sociale, quando fiorisce nel lavoro. La persona fiorisce nel lavoro. Il lavoro è la forma più comune di cooperazione che l’umanità abbia generato nella sua storia”.
Poi il primo affondo: “Il lavoro è una forma di amore civile: non è un amore romantico né sempre intenzionale, ma è un amore vero, autentico, che ci fa vivere e porta avanti il mondo”. Siamo lontani dal Celentano di “chi non lavora” e quel che a ciò segue, ma il problema è chiaro: cislini, sindacalisti abbiate chiaro che se non fate il vostro dovere avete così da parlare di pace e amore nel mondo, ma state sbagliando strada, la persona non è solo lavoro…. Se amate l’uomo non potete non accoglierlo, ma dovete anche dargli lavoro.
Secondo punto: “La persona non è solo lavoro, perché non sempre lavoriamo, e non sempre dobbiamo lavorare. Da bambini non si lavora, non lavoriamo da vecchi”. Capito? Smettere di lavorare non può essere la scusa per andare in pensione e prendere due stipendi (di cui magari uno in nero), come purtroppo capita sovente: sindacalisti, cislini, lavorate in questa direzione, non tacete per paura di non esser compresi o di veder scappare qualche tessera. Si lavora per il Regno dei Cieli anche facendo modificare le riforme troppo “severe”. E pazienza se l’Inps, che non è stata creata da Dio nei primi sei giorni di vita del mondo, rischia di avere qualche problema: l’Inps è stata creata per l’uomo e non viceversa.
Qui inizia un crescendo: sulle orme di Giovanni Paolo II anche il Pontefice argentino parla della necessità che ci sia un buon sindacato, che il sindacato sia sano, non sia “partitico”, nel senso di non assumere i difetti deteriori della politica , che i sindacalisti non siano “corrotti”, cioè non si lascino affascinare dalle carriere, dal denaro, dal potere. Sindacalisti cioè che hanno dimenticato quanto il loro lavoro sia intriso di giustizia (e l’etimologia di sindacato, ha ricordato Francesco, è proprio sun-dyke, cioè “giustizia insieme”), sia un mestiere “profetico” nel senso che parla per conto di Dio, e invece si sono fatti incantare dal piccolo cabotaggio di tante micragnose burocrazie.
E poi il cavallo di battaglia, la fase davvero personale di un tale discorso: anche il sindacato, e quindi i sindacalisti, devono uscire dalle loro stanze andare verso gli ultimi, le periferie. Già, ma quali sono queste periferie? Chi non ha lavoro, chi quel lavoro l’ha perduto, chi è poco pagato, chi non ha titoli per affrontare da solo il mare del libero mercato. I giovani che lo cercano e i vecchi che vorrebbero talora sfuggirvi. Chi ha pensioni d’oro, ma anche chi ha pensioni da fame. Chi vive per lavorare e finisce per dimenticarsi della famiglia e di se stesso. Chi lavora per vivere e non ce la fa coi soldi a fine mese. Chi rincorre la giustizia sociale.
Non l’ha detto, ma forse il mestiere del sindacalista agli occhi del Papa ha qualche cosa in comune con quello del prete: così mi pare si spieghino gli appelli affinché i sindacalisti vadano fuori dalle porte dei sindacati. Anzi, il grido è stato ancor più chiaro; sindacalisti cislini, proprio voi, mica altri, dirigetevi oltre le vostre stanze e le vostre sedi: alzatevi e uscite. Siate buoni cislini, dice Francesco, perché non c’è una buona società senza un buon sindacato, e non c’è un sindacato buono che non rinasca ogni giorno nelle periferie, che non trasformi le pietre scartate dell’economia in pietre angolari.
Come intendere queste frasi? Chiaro che il Papa sa quale sia il ruolo del sindacato nella società moderna e come esso sia in crisi: ma sa anche che esso contiene ancora enormi risorse in sé e soprattutto che, come tanti strumenti dell’uomo, essi non sono né perfetti, né privi di mende. Ma fin quando non si inventerà nulla di meglio per difendere l’uomo e il lavoro e l’uomo dal lavoro…
Ecco se i nostri giornalisti fossero stati attenti, si sarebbero accorti che il Papa ha fatto l’elogio del lavoro, ma anche quello dell’ozio, cioè del tempo dedicato a se stessi e agli altri: valeva pur esso un titolo. E anche un applauso, come quello che la Cisl ha indirizzato a questo gesuita argentino divenuto servo degli altri.