Nel suo programma elettorale, il Movimento 5 Stelle non è stato tenero con i sindacati. Dopo averne denunciato i privilegi e le deviazioni dal suo ruolo di tutela, ha concluso in termini secchi e minacciosi: “Il M5S vuole tagliare gli anacronistici privilegi che, all’interno del sistema sindacale, hanno contribuito a creare situazioni da ‘casta’, completamente scollata dalla realtà del lavoro che cambia”. All’atto pratico, tuttavia, nel punto in cui i “grillini” esprimono la loro più importante sfida – Roma Capitale – hanno spalancato le porte e steso i migliori tappeti rossi per accogliere le Confederazioni sindacali e concedere loro uno status di interlocutori privilegiati. Nell’arco di un mese la sindaca Virginia Raggi ha sottoscritto con Cgil, Cisl e Uil due importanti protocolli: uno, il primo, denominato “Contratto decentrato integrativo”, composto da 40 articoli distribuiti su 35 pagine cosparse di firme in ogni spazio vuoto, come a urlare “ci sono anch’io a spartirmi le risorse messe in palio” per i dipendenti dell’amministrazione comunale. L’altro, recentissimo, consiste in un Protocollo sulle relazioni sindacali, preceduto da una “lettera di intenti” che ne sintetizza i principali contenuti.
Cominciamo dal primo. Con l’auspicio di una valutazione oggettiva è previsto, per qualunque istituto normativo o erogazione retributiva, un “riconoscimento” in busta paga di ogni atto, gesto, iniziativa che i dipendenti svolgono nell’ambito della loro prestazione, secondo la prassi – che si denuncia da sempre nella Pubblica amministrazione – per cui la normale retribuzione contrattuale è dovuta a prescindere dal lavoro svolto, il quale – se è stato effettivamente prestato – va compensato a parte. Certo, la nuova giunta pentastellata è legittimata a sostenere di essersi mossa nell’ambito di un contesto consolidato e di aver cercato di introdurre dei criteri di valutazione oggettivi (fino a perdersi nei meandri dei parametri individuati anche per premiare chi dice educatamente “buon giorno” ai colleghi). Ammesso e non concesso che ciò risponda completamente al vero, i “grillini” non hanno mantenuto fede alle loro promesse di innovazione, dal momento che il quadro di gestione del personale che traspare dall’accordo è più o meno quello di sempre. Basti osservare il numero e la qualità delle indennità accessorie: turnazioni, reperibilità (anche a Capodanno?), rischio, maneggio valori, disagi operativi. Oppure il sistema di valutazione della produttività corredato di una scala di punteggi riferiti a declaratorie tanto ampie e generiche da essere oggetto di interpretazione difforme e quindi di contestazione.
Quanto al taglio dei “privilegi” (permessi retribuiti e quant’altro) non si intravvedono tracce. Ma uno degli aspetti più discutibili sembra essere quello della progressione di carriera: un meccanismo che non si basa sui posti disponibili in organico, ma sulla (supposta) crescita professionale del dipendente, in quanto è riconosciuto a lui di attivare la procedura e far valere i titoli. Vorremmo sbagliare, ma questi percorsi possono determinare un periodico scorrimento di buona parte del personale verso posizioni lavorative più elevate senza che muti sostanzialmente l’organizzazione del lavoro. I criteri di scelta e di promozione saranno pure oggettivi, ma questa ci sembra la logica – vecchia come il cucco – del todos caballeros. Alla fine in una dichiarazione comune le parti parlano di un risparmio di 15 milioni e ne attendono la certificazione. Staremo a vedere. Senza pregiudizi, ma con qualche dubbio.
L’altro Protocollo ha il timbro dei momenti solenni. Vengono definite le metodologie del confronto sia a livello dei problemi generali che di settore. L’Amministrazione si impegna a un confronto preventivo con le organizzazioni sindacali su tutti i documenti di programmazione, pianificazione e di strategia territoriale, sul bilancio preventivo e di assestamento. Va da sé che, ove non si raggiungano utili intese, ognuna delle parti conserva la propria autonomia. Ma in sostanza, anche per i temi dell’agenda concordata, emerge un rapporto preferenziale tra la Giunta e le Confederazioni sindacali (a partire dal fatto, che non si spiega, del mancato coinvolgimento delle organizzazioni datoriali).
I “tavoli” sono ben otto e riguardano: le politiche di bilancio, fiscali e tariffarie; la mobilità; il ciclo dei rifiuti; il welfare, la disabilità e le politiche abitative; politiche territoriali e periferire; riforma delle società partecipate; cultura; legalità. In sostanza, i sindacati diventano coprotagonisti di un progetto poliennale condiviso, rivolto a rilanciare lo sviluppo e la coesione sociale. Sembrano tornati i bei tempi della concertazione.
Questi avvenimenti, di solito, non fanno più notizia. Non c’è dubbio, però, che, grazie ai due protocolli, alle confederazioni viene concesso un ruolo ormai archiviato anche dalle amministrazioni di centro-sinistra. Nello stesso tempo, però, la loro è un’enorme apertura di credito alla Giunta Raggi. Per quanto se ne sa, la prima e per ora l’unica. Lo scambio politico è talmente evidente che non vale neppure la pena di parlarne.