Confesso che è difficile capire se siamo davvero fuori dalla crisi o meno, crisi che quasi tutti danno ormai alle spalle. Può essere che il peggio – per ora – sia superato, ma sarebbe interessante guardare i cadaveri che ha lasciato dietro di sé. I dati su occupati e disoccupati pubblicati dall’Istat contengono luci e ombre, che di norma non traspaiono dai vari messaggi più o meno trionfanti postati sui social media da tanti politici; certamente non si può negare che la situazione sia in miglioramento rispetto a due anni fa a all’anno scorso.



Ad aprile 2017 crescono gli occupati rispetto a marzo dello 0,4% (94 mila persone); il fenomeno riguarda soprattutto i lavoratori superiori a 50 anni di età, che crescono anche su base annua (+362 mila): probabilmente, per un verso, si tratta di personale lasciato a casa in precedenza e che viene assunto a fronte degli incentivi riconosciuti a favore del reimpiego di questa fascia di età, per altro verso, di ricollocamenti all’interno di grossi gruppi aziendali in attesa di prendere decisioni che potranno anche essere dolorose per molti (programmi di incentivazione all’esodo, licenziamenti collettivi, ecc.).



Benché, su base annua, l’incidenza degli occupati sulla popolazione cresca in tutte le fasce di età, rimane assai elevato il tasso di disoccupazione giovanile: la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi rimane stabile al 34%; nella stessa classe di età è sensibile anche la  percentuale di inattivi, ossia dei non occupati e di coloro che non cercano lavoro, pari al 74,2%: se in questo caso il dato può non spaventare, in quanto generalmente legato allo studio, preoccupa di più il tasso di inattività nella fascia 25-34 anni, pari al 26,1%, dato che diminuisce nella fascia 35-49 anni (19,8%), dove si concentra la maggior parte degli occupati (72,8%). La situazione lavorativa giovanile si conferma piuttosto statica, con grosse difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, per non dire di esclusione, da parte dei giovani, sui quali non si può non puntare oggi per garantire la qualità professionale e la solidità sociale di domani.



I consumi sono certo in ripresa rispetto a un anno fa (+1,4% su maggio 2016), sebbene diminuiscano su base mensile (-0,2%). Se guardiamo alle voci di spesa, tuttavia, quelle più in aumento riguardano i trasporti (+3,7%), abitazione, acqua, elettricità e combustibili (+3%), prodotti alimentari (+1,9%), determinate per lo più da fattori stagionali. Da un lato, l’incremento dei prezzi fa certo ben sperare, dall’altro condurrà la Bce a rientrare dai programmi espansionistici attuati negli ultimi due anni, cosa del resto comprensibile, ma incerto è il grado di impatto sul nostro Paese.

Occorre anche vedere, dicevamo, le rovine lasciate sul terreno. Secondo le stime Banca d’Italia, sebbene il reddito lordo disponibile delle famiglie sia aumentato nel 2016 dell’1,6%, rimane significativamente inferiore ai livelli pre-crisi del 2007 (-8,1%). Ma certamente l’aspetto più allarmante è rappresentato dagli alti livelli del numero delle persone in disagio economico, pari al 28,7% (il dato è aggiornato al 2015), mentre il numero di persone in condizioni di povertà assoluta, cioè con una spesa inferiore a quella necessaria per acquistare beni e servizi legati alla sussistenza, ha raggiunto il 7,6% della popolazione: 4,6 milioni di persone. La povertà è aumentata tra le famiglie numerose e tra le coppie con due o più figli, con inevitabili conseguenze sui bambini: un minore su 10, nel 2015, viveva in condizioni di povertà assoluta. Tra la popolazione anziana l’incidenza del fenomeno è stata più bassa (circa il 4% nel 2015), grazie alla maggiore stabilità dei redditi da pensione, che non risentono delle dinamiche occupazionali.

Naturalmente, non mancano in questo spiragli di luce: la Legge 33/2017 di contrasto alla povertà introduce importanti misure, tra le quali il reddito di inclusione, basato sulla “prova dei mezzi”, cioè sulle effettive risorse economiche della famiglia: per ora il budget di spesa è limitato (2 miliardi di euro nel 2017 e nel 2018) e quindi il raggio di azione sarà presumibilmente corto.

Molto c’è da fare, molto da migliorare. Naturalmente a condizione di non sciupare tutto il tempo in divisioni politiche sulla legge elettorale, pensando già a nuove elezioni e a coloro sui quali scaricare la colpa di un eventuale nuovo fallimento.

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