Da meno di un anno il ministero del Lavoro ha promosso la pubblicazione di una nota sulle tendenze dell’occupazione in cui confluiscono i dati del ministero stesso e quelli di Istat, Inps e Inail. Le diverse fonti informative su cui si basano i dati di ciascun ente permettono di avere un quadro dell’andamento del mercato del lavoro più aderente alla realtà. Il confronto fra dati di stock con la verifica dei flussi di entrata e uscita registrati consente di valutare più realisticamente quanto è avvenuto e consente ai decisori una migliore conoscenza di quanto serve per sostenere l’occupazione. L’iniziativa ha anche il pregio di aver posto fine all’abuso dei dati che troppo spesso veniva fatto da commentatori ignoranti che utilizzavano la differenza rilevata fra i dati forniti dalle diverse fonti (e giustificati dall’essere realmente dati diversi perché riferiti a fenomeni diversi) per sostenere tesi politiche e giornalistiche assolutamente fuori dalla realtà.



L’ultimo rapporto pubblicato dà il quadro del primo trimestre del 2017. Il dato complessivo indica che la tendenza occupazionale positiva prosegue. Il trimestre registra una crescita dello 0,2% e la tendenza sull’anno ha un incremento dello 0,8%. Tale crescita è trainata dai risultati economici complessivi. Il Pil aumenta dello 0,4% nel trimestre di riferimento e dell’1,2% come dinamica annuale. Come noto, la crescita economica produce i suoi effetti nell’occupazione con un certo ritardo e quindi si può ritenere che, se saranno mantenuti i trend di crescita dell’economia, avremo una crescita occupazionale più accentuata nell’autunno dell’anno in corso.



Il tasso di occupazione complessivo raggiunge il 57,6% e si avvicina al 58,8% del secondo trimestre del 2008 che è stato il punto di massima occupazione prima della crisi economica. Nel terzo trimestre 2013 si è invece toccato il minimo del tasso d’occupazione complessivo con il 55,4%. La tendenza positiva non deve farci dimenticare che per una posizione “ottimale” (offrire lavoro per tutti quelli che possono/vogliono lavorare) il tasso d’occupazione deve superare il 60% della popolazione in età lavorativa. Lo squilibrio territoriale del tasso d’occupazione italiano resta uno dei segnali di una profonda differenza rispetto ai paesi più sviluppati.



Guardando all’interno del dato complessivo possiamo rilevare che:

La crescita occupazionale è dovuta interamente alla crescita del lavoro dipendente. Il lavoro autonomo segna ancora una flessione nel corso del trimestre.

Rispetto al primo trimestre del 2016, il 2017 registra oltre 330 mila occupati in più.

A trainare la nuova occupazione è soprattutto il settore dei servizi e con minore impatto l’industria. Agricoltura ed edilizia segnano invece una diminuzione seppure leggera.

Dal punto di vista contrattuale aumentano sia le assunzioni a tempo indeterminato che a tempo determinato. Dopo il calo dei contributi a sostegno dei contratti a tempo indeterminato sono quelli a termine che prevalgono ormai da più trimestri nelle nuove assunzioni e vi sono però trasformazioni da determinato a indeterminato che fanno sì che lo stock complessivo resti sostanzialmente stabile.

Cresce la partecipazione attiva al mercato del lavoro, aumentano sia gli occupati che i disoccupati. Quasi 500 mila persone sono passate da inattive ad attive. La popolazione attiva invecchia sia per effetto dell’allungamento dell’età pensionabile, sia per l’effetto demografico. Cresce l’occupazione giovanile (sia in termini trimestrali che in previsione annua), ma le classi di età giovanili sono meno numerose di quelle anziane che escono dal mercato del lavoro.

Alla crescita occupazionale ha contribuito il sistema delle imprese nel complesso, indipendentemente dalla dimensione.

Infine, un’annotazione sul lavoro intermittente. Nel corso del trimestre sono stati abrogati i voucher. Notizia che però ha iniziato i suoi effetti già prima dell’entrata in vigore della legislazione. Nel corso del trimestre cresce del 13,5% il lavoro a chiamata e del 22% il lavoro in somministrazione. Si registrano valori medi di impegno pari a 10 gg/mese per il lavoro a chiamata e 21 gg/mese il lavoro somministrato.

Dal quadro complessivo offerto si possono trarre un po’ di spunti sul nostro disastrato mercato del lavoro. Il trend positivo pare ormai consolidato. Sono tre anni che l’occupazione cresce e dal 2015 aumenta l’occupazione stabile più di quella intermittente. Nei tre anni, febbraio 2014/marzo 2017, vi sono oltre 941 mila nuovi occupati e due terzi sono a tempo indeterminato. La nuova legislazione introdotta con il Jobs Act e il sostegno economico dato alle nuove assunzioni hanno assicurato un risultato rimarchevole. Si tratta adesso di insistere sull’occupazione giovanile e femminile. La proposta di spostare risorse per l’abbattimento del cuneo fiscale per sostenere l’occupazione di questi due target può sicuramente avere nei prossimi mesi un effetto positivo e correggere due gravi squilibri del nostro mercato.

A ciò si dovrebbe aggiungere un forte rilancio delle politiche attive a sostegno di chi ha perso il lavoro e deve ricollocarsi, ma soprattutto un rilancio dei percorsi formativi finalizzati a coprire i tanti profili professionali che restano scoperti. Anche in questo periodo di forte disoccupazione il rapporto Excelsior di Unioncamere stima circa 120 mila situazioni di domande di lavoro che restano scoperte perché non si trovano lavoratori con la necessaria preparazione professionale. Tale dato sicuramente sottostima le necessità, perché nuove figure professionali emergono dalle trasformazioni in corso e molte imprese rinunciano a sviluppare la propria domanda di lavoro perché scoraggiate.

Si spende molto per corsi di formazione professionale, ma in poche regioni si valuta l’efficacia della spesa in questo settore. Ottimizzare la spesa in formazione coinvolgendo anche i fondi interprofessionali della bilateralità permetterebbe di dare vita a un settore innovativo di percorsi scuola-lavoro con occupazione assicurata. È quanto di più utile per sostenere il lavoro e lo sviluppo di nuovi settori economici.