Lunedì scorso è stata presentata dal Censis l’indagine sul rapporto tra giovani e lavoro. Il lavoro rimane saldamente al centro dell’interesse dei giovani. Molto elevate le percentuali di coloro che dichiarano di seguire il dibattito sul tema (88,6% del totale). Un lavoro corrispondente con le proprie aspirazioni soggettive viene messo al primo posto tra i fattori in grado di determinare la soddisfazione individuale e, parallelamente, il lavoro “negato”, la disoccupazione che diventa cronica nel tempo, viene indicata come la più pesante delle ingiustizie sociali (30,1% delle risposte), addirittura più rilevante della gravità relativa al divario di reddito, all’accesso alla casa o ai servizi di base come sanità ed educazione. Infine, mentre è diffusa la convinzione che le istituzioni dovrebbero mettere in campo la migliore progettualità e maggiori risorse per garantire un lavoro a tutti (79,5%), l’opzione di un reddito di cittadinanza ottiene molti meno consensi.



Possiamo quindi provare a individuare qualche messaggio chiaro, così da orientarci in modo migliore nel contesto di riferimento. Per i giovani la “questione lavoro” non è un problema nella sua accezione negativa, ma un’opportunità, un’occasione. L’importanza data al lavoro, non solo dignitoso, ma adeguato alle proprie aspettative così da essere un fattore di felicità, ci obbliga a non considerare la disoccupazione giovanile semplicemente come una percentuale da far scendere, o essere soddisfatti per delle variazioni da zero virgola, ma è una responsabilità su come rispondere adeguatamente al desiderio di una generazione di realizzare il proprio compimento, umano e sociale, attraverso l’esperienza del lavoro. Il rifiuto all’ipotesi di un reddito di cittadinanza è la risposta più convinta e l’indizio più autorevole che il problema dell’occupazione giovanile non è semplicemente una questione di risorse, ma innanzitutto di azioni, preoccupazioni e atteggiamenti.



Il primo fattore da considerare è l’aspetto relazionale. Il lavoro in quanto tale porta con sé un aspetto, un’esperienza di socialità che è indispensabile all’uomo. Anche i giovani che vengono definiti dagli psicologi del lavoro “i neet esogeni”, ovvero coloro che sono impegnati in una lotta quotidiana per entrare nel mondo del lavoro, svolgono attività di volontariato nelle Onlus, oppure alla costante ricerca di lavoretti in un continuo dentro/fuori dal mercato del lavoro, cercano quindi qualsiasi attività che mantenga vivo il loro bisogno di socialità e condivisione. 



La prima preoccupazione è quindi non lasciare soli i giovani, in particolare in quelle che sono le fasi di transizione, una su tutte tra la scuola e il lavoro. Occorrono sempre di più ambiti che mantengano vivo il desiderio di socialità, l’interesse a partecipare a una rete di relazione, la consapevolezza di fare parte di una comunità che condivide le potenzialità e i bisogni di tutti. Questo fattore di attenzione, declinato nel termine accompagnamento, è ciò che manca nell’erogazione della maggior parte delle iniziative a sostegno dell’occupazione giovanile. Questo “accompagnamento” nel mercato del lavoro trova nell’esperienza della formazione la sua traduzione operativa più prossima. L’esperienza di alternanza suola-lavoro che sta introducendo il sistema duale anche nel nostro Paese sicuramente va nella giusta direzione.

Occorre però, come detto sopra, non limitarci all’esito statistico delle iniziative che mettiamo in campo, se non altro perché viviamo in un’epoca caratterizzata da dinamismo e cambiamento: è sicuramente un ottimo risultato trovare lavoro a un giovane, ma dobbiamo essere consapevoli e dobbiamo educare i ragazzi a comprendere che quel posto non sarà il suo lavoro per tutta la vita. Allora il vero successo dell’alternanza è se il binomio scuola (formazione)-lavoro diventa per le giovani generazioni il fattore di accompagnamento per tutto il percorso occupazionale: si inizia come passaggio dal mondo scolastico al mondo del lavoro, ma questo legame tra aggiornamento/apprendimento professionale e lavoro si porta con sé come patrimonio da attualizzare in diverse fasi della vita.

Per questo non è una questione semplicemente statistica, ma di esperienza vissuta e realizzata. Solo se l’alternanza è stata una vera opportunità, che esprime nel legame delle due esperienze tutto il suo valore, allora sarà maturata la consapevolezza nel ragazzo ad aderire a politiche attive anche nelle altre fasi lavorative; se invece l’alternanza è una finzione, il pegno da pagare al dibattito nazionale semplicemente per poter dire che iniziamo a introdurre nel nostro Paese un sistema duale, stiamo prendendo in giro i giovani. Molto peggio un ragazzo sfiduciato di un ragazzo disoccupato.