È di qualche giorno fa la comunicazione dell’Istat circa i positivi dati su fatturato e ordinativi dell’industria che – insieme a quelli meno recenti sulla produzione – segnalano un importante trend del nostro sistema produttivo. A esprimere soddisfazione è anche il neo segretario confederale della Cisl Angelo Colombini, che ha tra le sue deleghe proprio quella all’industria, anche in virtù del suo percorso nel comparto chimico-farmaceutico e, anche, in quello metalmeccanico. “I dati sull’aumento del fatturato e degli ordinativi – afferma Colombini – non possono che essere accolti con favore, visti anche quelli sulla produzione di qualche giorno fa”.
È questo un momento molto importante per la trasformazione dell’industria e dell’economia intera. Posto che la crescita non è il prodotto delle regole, come possono il sindacato e la contrattazione accompagnare questo processo di cambiamento?
Facendo il loro mestiere fino in fondo ovvero accompagnando i processi verso obiettivi utili per il Paese e per i suoi abitanti, in particolare i giovani. Si tratta di riprendere la migliore tradizione di condivisione tra le diverse forze sociali, figlia della Costituzione reale e materiale e che ha permesso all’Italia, in passato, di cogliere i grandi obiettivi di crescita. Basta citare la ricostruzione post-bellica fino all’abbattimento dell’inflazione negli anni ’80 e ’90, all’ingresso in Europa e nell’euro. Ma anche le grandi trasformazioni dell’apparato industriale, senza eccessivi traumi sociali e accompagnando le innovazioni e le ristrutturazioni nei vari comparti produttivi e nei diversi territori, anche se il Mezzogiorno continua a soffrire di occasioni mancate.
La rivoluzione è certamente figlia della tecnologia e del digitale in particolare, ma se si perdono di vista il fattore umano e la centralità della persona si rischia di cambiare soltanto in peggio. Concretamente, quali iniziative mette in campo il sindacato?
Intanto la richiesta di partecipare alle diverse cabine di regia avendo la consapevolezza che l’impresa è un bene comune e di tutti, non è un affare che riguarda solo gli imprenditori e il management: le persone sono l’alfa e l’omega, sono il soggetto a cui tutto deve rifarsi e i lavoratori sono i veri protagonisti di questa trasformazione. Coinvolti lo sono già, si tratta di innescare processi partecipativi che, partendo dall’area micro organizzativa possano accedere a maggiori responsabilità e riconoscimenti. È un processo culturale che deve manifestarsi più compiutamente e su cui investire: formazione professionale e continua, nuove conoscenze come forma di occupabilità, attitudini alla collaborazione e tanta formazione sindacale per i delegati aziendali. Da qui occorre partire.
La contrattazione aziendale è pratica sempre più diffusa, anche in virtù degli incentivi fiscali ora strutturali sulla premialità variabile; ma conditio sine qua non è la crescita della produttività del lavoro. Quanto il sistema è pronto per questo salto di qualità?
Una parte dei sistemi aziendali è già immersa in questa dimensione, anche se ci trasciniamo un’idea di produttività solo correlata al fattore lavoro, che rimane certamente la base essenziale: ma oggi i prodotti e i servizi sono misurati dalla loro qualità ed eccellenza, ai tanti fattori di personalizzazione, alla velocità di collocazione e di distribuzione (i magazzini esistono sempre meno), ai pagamenti in tempi accettabili; per fare un esempio, proviamo a riflettere sulle aziende che vendono servizi e prodotti alle aziende ospedaliere, in quanto tempo ricevono il saldo delle loro fatture? Forse è un sistema che deve farsi più… sistema, bisticciando con le parole.
Contrattazione aziendale significa salario aziendale e l’aspettativa naturale di migliorie retributive. Non c’è il rischio che cresca il conflitto nei luoghi di lavoro?
Il conflitto cresce se lo si vuole innescare, se i sistemi di retribuzione variabile vengono discussi e contrattati, se si trovano soluzioni coerenti e accettabili per tutte le fasce professionali allora si valorizzano le differenze e si attenuano le diseguaglianze. Poi, vedendo le retribuzioni di alcuni manager, forse occorre domandarsi dove sta la “ratio”, se la parola giustizia è ancora di casa a questo mondo.
Le imprese che investono nel manifatturiero, in particolare, devono tenere conto del rapporto tra industria e territorio, la sostenibilità non è solo economica ma anche ambientale. Dal vostro osservatorio, a che punto siamo?
È un tema decisivo per il futuro di un Paese come il nostro, per la sua conformazione territoriale, per le problematiche antiche e nuove nel rapporto tra impianti, produzione e ambiente circostante. Inoltre per un sindacalista come me, che per oltre trent’anni ha avuto a che fare con i settori chimici e del petrolio, con le produzioni ceramiche e del vetro, della gomma e della plastica, della farmaceutica e delle risorse come l’acqua e le energie rinnovabili, ebbene questa esperienza mi fa dire che solo con il dialogo paziente con i vari portatori d’interesse e con il rispetto di tutti i fattori in gioco nelle diverse circostanze si può procedere verso traguardi di sostenibilità complessivamente intesa. Poi i lavoratori sono i primi a essere esposti a rischi e pericoli, quindi siamo i primi, come loro rappresentanti, a essere interessati a salvaguardare salute, sicurezza e ambiente. Non voglio citare località particolari, ma sono molteplici le situazioni aperte e con dialoghi che si svolgono su diversi tavoli, sia centrali presso i Ministeri, che locali con comuni, comunità istituzionali locali e le diverse forze sociali, di tutte le estrazioni, compresa la Chiesa.
Da qualche anno è esploso il problema della rappresentanza e della rappresentatività delle sigle, assistiamo ancora a casi in cui il lavoro è ostaggio della minoranza. Anche Susanna Camusso, intervenendo al Congresso Cisl, ha detto che serve dare certezza alla rappresentanza per dare certezza alla contrattazione. Qual è la posizione della Cisl a riguardo?
Nella relazione di Annamaria Furlan al recente Congresso Nazionale della Cisl abbiamo affermato che siamo disponibili anche a un leggero intervento legislativo, che possa far uscire questo problema dal dibattito sindacale per soli addetti ai lavori. In questo senso occorrono certezze per i cittadini in quanto si sta perdendo la dimensione della coesione sociale laddove si proclamano scioperi che gettano nel caos città e aree metropolitane di milioni di persone. Ma serve una legge anche per stabilire alcuni requisiti minimi per fare contrattazione e i contratti nazionali si sono triplicati non per i sindacati, ma per il proliferare di associazioni di imprese che rappresentano pochissime imprese, alcune si contano sulle dita di una mano. Forse anche le imprese avrebbero interesse a evitare una concorrenza sleale basata solo su retribuzioni sempre più basse, ai limiti della sussistenza. Distorsioni di mercato e ingiustizia retributiva portano il Paese indietro, è una politica che viaggia con l’occhio nello specchietto retrovisore anziché nel parabrezza e così si va a sbattere.
Che Cisl esce, e con quali obiettivi, dal Congresso?
Intanto una Cisl molto coesa e unita guidata da Annamaria Furlan e di questi tempi avere leader che operano con autorevolezza e consensi estesi non è cosa di tutti i giorni, non sono tante le organizzazioni che godono di questi dati di fatto. Inoltre, è stata avviata una fase in cui la “leadership diffusa” porterà a un ulteriore rinnovamento dei gruppi dirigenti sia nelle categorie che nelle aree territoriali e l’innesto di giovani e donne in particolare, farà sicuramente bene a questo nostro sindacato fondato da Giulio Pastore e Mario Romani nel secondo dopoguerra del secolo scorso. Troppo lungo per i lettori descrivere i diversi obiettivi della Cisl (li rimando ai nostri siti web e ai diversi strumenti di comunicazione tra i social): solo due parole chiave, le stesse del congresso e cioè noi siamo per le persone e per il lavoro, intendiamo farci carico delle persone che si rivolgono a noi in quanto persone, per tutti i loro bisogni e necessità e per promuovere il lavoro, i tanti lavori nei diversi mondi del lavoro di questa nostra Italia, unica e indivisibile. Abbiamo aperto il Congresso con l’udienza da papa Francesco; da laici intendiamo prendere molto sul serio quanto ci ha comunicato il Santo Padre e questa è una sfida di non poco conto.
In collaborazione con www.think-in.it