Su queste pagine, di recente, è stata posta la questione dell’inutilizzabilità della contribuzione estera ai fini della maturazione del requisito contributivo richiesto per l’accesso alla cosiddetta Ape sociale. Secondo l’Inps (circolare n. 100/2017), infatti, quel requisito «non può essere perfezionato totalizzando i periodi assicurativi italiani con quelli esteri, maturati in Paesi Ue, Svizzera, See o extracomunitari convenzionati con l’Italia». Ciò, pare di capire, perché «l’Ape sociale non costituisce un trattamento pensionistico» e dunque – l’Ente questo non lo dice, ma evidentemente lo suppone – va considerata una prestazione di natura assistenziale, come tale sottratta all’applicazione del Reg. (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (art. 3).
In realtà, la posizione dell’Ente non è condivisibile, per molteplici ragioni, tutte, peraltro, ruotanti intorno alla natura della prestazione. Innanzitutto, che questa non sia assistenziale, ai sensi dell’art. 38, co. 1, Cost., è reso palese dal fatto che i beneficiari dell’Ape sociale sono tutti lavoratori o ex lavoratori (disoccupati), la cui anzianità contributiva rende sostanzialmente certo l’accesso alla pensione, quantomeno anticipata. Il che, appunto, è incompatibile con i requisiti della citata norma costituzionale.
In secondo luogo, pur parlando di “indennità”, la legge (art. 1, co. 179-186, l. n. 232/2016) ne costruisce la disciplina sulla falsariga delle prestazioni pensionistiche, dall’esistenza dei requisiti di contribuzione, anagrafici e di cessazione del rapporto di lavoro, alla decorrenza della prestazione e al criterio di calcolo. Fin dal nome, del resto, è evidenziata la correlazione con la prestazione pensionistica, in funzione anticipatoria dall’uscita dal lavoro, tanto che se il traguardo invalicabile è il conseguimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia, si decade dall’indennità quando sia maturata la pensione anticipata.
È difficile, allora, negare la natura previdenziale dell’Ape sociale, l’unico vero argomento in tal senso sembrando il tratto “non contributivo”, ovvero il finanziamento fiscale del trattamento. Ma si tratta di argomento resistibile, soprattutto alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla distinzione fra prestazioni escluse dall’ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 e prestazioni che vi rientrano. Tale distinzione, infatti, è basata essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, in particolare sulle sue finalità e sui presupposti per la sua attribuzione, mentre non rileva la qualificazione datane dalla legge nazionale.
Pertanto «una prestazione può essere considerata come una prestazione di sicurezza sociale qualora sia attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione definita per legge, e si riferisca a uno dei rischi espressamente elencati nell’articolo 3, paragrafo 1», mentre resta irrilevante a tal fine la modalità di finanziamento, quand’anche non sia richiesto alcun presupposto contributivo (da ultimo Cge 21 giugno 2017, C-449-16).
Ora, tutti questi elementi sono riscontrabili nell’Ape sociale.