La relazione del presidente Tito Boeri ha saputo sintetizzare gli aspetti principali del Rapporto istituzionale dell’Inps, presentato ieri alla Camera. Innanzitutto perché, con l’autorevolezza dei dati, si è fatta chiarezza sulle dinamiche del mercato del lavoro in conseguenza delle politiche effettuate nell’attuale legislatura; in secondo luogo, per l’indicazione di un nuovo indirizzo che dovrebbero assumere le politiche di protezione sociale (la parola “protezione” dovrebbe sostituire la parola “previdenza”, secondo Boeri, già nell’acronimo dell’Istituto, dal momento che solo 150 prestazioni tra le oltre 400 erogate sono di carattere previdenziale); infine, per le proposte avanzate, senza cadere nella tentazione di portare acqua al mulino del populismo.
Per quanto riguarda l’occupazione, il Rapporto è chiaro e preciso: “Tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 gli effetti negativi della crisi economico-finanziaria evidenziatasi drammaticamente a partire dal 2008 – sta scritto nel Rapporto – hanno raggiunto, sotto il profilo occupazionale, il loro apice”. Gli occupati sono scesi di circa 4 punti percentuali che, in valori assoluti, corrispondono a circa un milione di occupati in meno: da 23,2 milioni nella primavera 2008 a 22,2 milioni tra il 2013 e il 2014. “Da allora è iniziata una faticosa ma continua risalita: appena accennata nel corso del 2014, robusta nel 2015, confermata infine nel 2016 e nei primi mesi del 2017”. Ad aprile 2017 gli occupati risultano risaliti a 23 milioni giungendo a recuperare quasi il livello pre-crisi. Si tratta di un risultato rilevante seppur largamente insufficiente a riportare la disoccupazione sui valori del 2007-2008, vale a dire attorno al 7%. “Il livello massimo di disoccupazione – prosegue il Rapporto – è stato raggiunto nel novembre 2014 (13%), mentre ad aprile 2017 risultava ridotto di quasi due punti (11,1%).
La disoccupazione è aumentata non solo come conseguenza della contrazione della domanda, ma anche per effetto dell’aumento dei tassi di partecipazione, ora superiori al 65% contro il 62-63% degli anni pre-crisi. In particolare, sono aumentati quelli delle donne e degli over 50. Un altro effetto importante – messo in evidenza da Boeri e di soliti trascurato – è l’incremento delle aziende che superano il tetto – finora considerato invalicabile -dei 15 dipendenti, da quando, cioè, il dlgs n. 23 del 2015 ha stabilito che in caso di nuove assunzioni non scatti il regime dell’articolo 18 dello Statuto, ma a tutti i dipendenti, vecchi e nuovi assunti si applichi il contratto a tutele crescenti.
Quanto al nuovo indirizzo di un sistema di welfare in grado di “proteggere” i lavoratori nel nuovo contesto economico-sociale, Tito Boeri è partito da un’analisi del limiti del modello vigente (a cui pure va riconosciuto il merito di aver retto durante la crisi e reso meno drammatici i sui effetti sociali). “Il nostro sistema di protezione sociale è largamente imperniato su strumenti temporanei attribuiti a chi ha già carriere relativamente lunghe alle spalle”, ha sottolineato Boeri. “Pensiamo ai cosiddetti trasferimenti in costanza di rapporto di lavoro, ai vari tipi di Cassa Integrazione Guadagni e alle integrazioni fornite dai Fondi di Solidarietà, che recuperano le origini mutualistiche dell’assicurazione sociale. Si tratta di strumenti che proteggono i lavoratori da crisi temporanee e che, al contempo, impediscono alle aziende di disperdere il capitale umano che hanno faticosamente accumulato nel corso del tempo, un capitale umano che sarebbe molto difficile recuperare sul mercato del lavoro, soprattutto in lavorazioni in cui conta molto l’esperienza e la formazione on the job”.
Nella lunga crisi 2008-2016 ben 350.000 aziende private italiane hanno utilizzato la Cig nelle sue varie articolazioni (Ordinaria, Straordinaria e in Deroga). Due terzi di queste imprese hanno avuto accesso allo strumento per più di un anno, una su cinque per più di 5 anni sui 9 presi in considerazione. Difficile pensare, ha spiegato Boeri, che, in questi casi, si tratti di problemi temporanei, indubbio che siamo di fronte a un sussidio prolungato che riduce in modo continuativo il costo del lavoro di alcune imprese. Ecco perché secondo Boeri, questi sono strumenti “del tutto inadeguati ad affrontare crisi strutturali perché incoraggiano i lavoratori a rimanere legati a imprese in cui non hanno un futuro e, di fatto, sussidiano aziende che, in molti casi, non sembrano in grado di reggere alle pressioni competitive”.
Frequenti episodi di non-occupazione all’inizio della carriera lavorativa hanno effetti molto rilevanti sulle pensioni future di chi è nato dopo il 1980 ed è perciò interamente assoggettato al regime contributivo. Questo rischio potrebbe essere in parte coperto fiscalizzando una componente dei contributi previdenziali all’inizio della carriera lavorativa per chi viene assunto con un contratto a tempo indeterminato. È una misura – sostiene il presidente dell’Inps – che, al contrario di molte di quelle proposte nella cosiddetta fase due del confronto governo-sindacati sulla previdenza, opererebbe un trasferimento dai lavoratori più anziani e dai pensionati verso i giovani e assicurerebbe sin d’ora uno zoccolo minimo di pensione a chi inizia a lavorare, oltre a incoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato. Al contrario, bloccare l’adeguamento dell’età pensionabile agli andamenti demografici non è affatto una misura a favore dei giovani. Scaricherebbe su di loro il costo dell’operazione. Per avere un sistema di protezione sociale in grado di difendere i più deboli non solo dalle recessioni, ma anche dalle grandi sfide della globalizzazione e del progresso tecnologico c’è bisogno di zoccoli minimi sia per le famiglie – un reddito minimo garantito – che per gli individui che lavorano, un salario minimo. “Non possiamo opporci alla ricollocazione di lavoro indotta dai cambiamenti strutturali, ma possiamo rendere questa mobilità – ha proseguito Boeri – meno costosa con assicurazioni salariali e una fiscalizzazione dei contributi previdenziali all’inizio della vita lavorativa”.
Quanto agli immigrati non sarebbe giusto chiudere le frontiere, non solo per le esigenze del mercato del lavoro, ma anche per questioni di equilibrio dei conti della previdenza. A questo proposito Tito Boeri ha illustrato i dati di una simulazione che ha considerato sia il gettito contributivo che le spese associate a prestazioni destinate agli immigrati (pensioni, prestazioni a sostegno del reddito, assegni al nucleo famigliare, invalidità civile). I risultati della simulazione a prezzi costanti possono essere riassunti in tre cifre: nei prossimi 22 anni avremmo 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell’Inps. Insomma, una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo.
Infine, la responsabilità sul bilancio dell’Inps. Ecco Cicero pro domo sua. “Chi giudica la gestione dell’Inps sulla base dei suoi bilanci dovrebbe avere presente che il 99% delle spese dell’Inps è composto da prestazioni che vengono erogate dall’istituto sulla base di leggi dello Stato e per conto dello Stato. L’Inps è tenuto ad applicare queste leggi e non ha il potere di adattare le aliquote contributive per eventualmente coprire nuove uscite. Abbiamo formulato – rammenta Boeri – diverse proposte normative per ridurre il disavanzo strutturale di molte gestioni pensionistiche, legato al fatto che l’85% delle prestazioni in essere è ancora in applicazione del metodo retributivo o di regole ancor più vantaggiose e insostenibili. Abbiamo anche fornito indicazioni dettagliate per misure di taglio della spesa che preservino, se non migliorino, l’efficienza nell’erogazione dei servizi nell’ambito della spending review. Tutte queste proposte sin qui sono rimaste inattuate. Il paradosso è che chi oggi attribuisce all’Inps la responsabilità dei suoi disavanzi di gestione e patrimoniali ci criticava allora per il fatto di formulare proposte che non ci competevano! Non pochi di questi rigoristi sui conti dell’Inps hanno, tra l’altro, sostenuto nelle piazze o in Parlamento l’approvazione di misure di aumento della spesa previdenziale non coperte da un aumento dei contributi”.
Certo sarebbe sciocco attribuire all’Inps i risultati della gestione economica. Ma Boeri non può cavarsela dicendo che comunque le pensioni saranno pagate (il che è vero, sempre che lo Stato non fallisca). Ma anche nel caso delle pensioni vale il detto che nessun pasto è gratis. Se è il Tesoro ad aggiungere le risorse che mancano, usa quelle che incassa dalle tasse e le sottrae ad altre destinazioni.