RIFORMA PENSIONI. Se il progetto di legge Richetti, dopo il voto della Camera, dovesse ottenere l’approvazione definitiva (senza modifiche) da parte del Senato (la circostanza non sembra a portata di mano per tanti motivi), toccherà alla Consulta pronunciarsi sulla sua conformità alla Costituzione. A chi scrive, al momento, basta denunciare le incoerenze del testo rispetto agli stessi principi che lo hanno ispirato. E quando non si rispettano neppure i principi che si vogliono affermare in un provvedimento, si dimostra soltanto la propria malafede. Chi non è in grado di attenersi alle regole che vuole imporre, commette dei veri e propri arbitri. Il dna del progetto di legge non vuole fare giustizia, intende soltanto colpire e umiliare chi, bene o male, ha rappresentato il popolo sulla base di un mandato ricevuto dagli elettori. Non c’è nessun senso di giustizia nella vendetta: solo odio e viltà. Ma procediamo con ordine nel sostenere le nostre tesi.
Andiamo all’incipit dell’articolo 1 del testo della Camera (AC 3225), dove si afferma con una solennità farisaica: “Al fine di rafforzare il coordinamento della finanza pubblica e di contrastare la disparità di criteri e trattamenti previdenziali, nel rispetto del principio costituzionale di eguaglianza tra i cittadini, la presente legge è volta ad abolire gli assegni vitalizi e i trattamenti pensionistici, comunque denominati, dei titolari di cariche elettive e a sostituirli con un trattamento previdenziale basato sul sistema contributivo vigente per i lavoratori dipendenti delle amministrazioni statali”. Il criterio-guida è, dunque, quello di trattare gli ex parlamentari e quelli in carica, per la parte coperta dal vitalizio, come i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, applicando loro il calcolo contributivo.
Prima contraddizione: ma i dipendenti presi a riferimento, alla stregua di tutti gli altri lavoratori subordinati e autonomi, hanno avuto a che fare, in qualche modo, col calcolo contributivo soltanto a partire dal 1996. Perché nel caso dei parlamentari – in carica ed ex – si deve risalire ancora più indietro? Si potrebbe rispondere a questa domanda che si tratta di un primo passo, ma che in seguito questa regola verrà applicata a tutti i profittatori del regime retributivo. No, non è così. Per non farsi inseguire con i forconi dal 95% dei pensionati italiani (liquidati in tutto o in parte con il retributivo), gli “ammazza vitalizi” hanno voluto cautelarsi, scrivendo nell’AC 3225 (articolo 12 comma 5) quanto segue: “La rideterminazione di cui al presente articolo non può in alcun caso essere applicata alle pensioni in essere e future dei lavoratori dipendenti e autonomi”. Così i tribuni della plebe hanno messo in sicurezza persino le cosiddette pensioni d’oro.
Per umiliare qualche migliaio di ex parlamentari e di consiglieri regionali hanno garantito anche coloro (e sono centinaia di migliaia) che hanno davvero tratto il massimo vantaggio dall’applicazione del calcolo retributivo. Ma anche questo emendamento è scritto sull’acqua. Alla fine, la norma “salva pensioni retributive” è solo di una foglia di fico, perché una nuova legge ordinaria potrà sempre abrogare o modificare quanto disposto da una precedente. Ma prendiamo pure in parola il legislatore. Perché si vuole fare questo scherzo soltanto ai parlamentari? Torniamo a leggere l’articolo 12 al comma 5 che ce lo spiega: “In considerazione della difformità tra la natura e il regime giuridico dei vitalizi e dei trattamenti pensionistici, comunque denominati, dei titolari di cariche elettive e quelli dei trattamenti pensionistici ordinari…”. “Ma come?”, si domanderà a questo punto – se c’è – un lettore in buona fede, “si era partiti dicendo che le differenze vanno superate e che i parlamentari devono essere trattati come gli altri lavoratori, poi si finisce per riconoscere le stesse difformità che si volevano abolire?”.
Ma non basta. Logica vorrebbe che se calcolo contributivo deve essere, lo sia in ogni caso. Uno ha diritto di avere un trattamento conforme a quanto ha versato (e a quanto è stato versato per lui)? Si taglia a chi ha avuto di più (la grande maggioranza): ma se qualcuno – a conti fatti – col calcolo contributivo ci guadagna, che cosa succede? Gli si aggiusta la pensione? Col cavolo! È sempre in agguato l’articolo 12 a stabilire in modo estremamente chiaro che: “In ogni caso l’importo non può essere superiore a quello del trattamento percepito alla data di entrata in vigore della presente legge”. Ecco che ritorna il vitalizio. Come si dice in questi casi? Becchi e bastonati.