C’è una sorta di scontro sotterraneo, in forma carsica, tra Its e mondo universitario, in particolare con le facoltà tecnologiche. Forse sarà per il calo delle iscrizioni, forse per il moltiplicarsi di corsi e cattedre con pochi studenti o altro, fatto sta che la nascita, nel 2010, degli Its non è mai andata troppo a genio alle università. Complice, e la cosa è paradossale, se teniamo conto dei comunicati stampa, anche un certo mondo imprenditoriale, legato a doppio mandato con alcuni Dipartimenti e così poco propenso a dar man forte all’affermarsi del sistema duale terziario in Italia. Tutto questo, nonostante i dati dicano che, mediamente, oltre l’80% dei diplomati Its trovi subito lavoro. In poche parole, una boccata d’ossigeno per i nostri giovani e per le nostre imprese.
L’ultimo atto di questo scontro sotterraneo fu, quasi un anno fa, il decreto della ministra dimissionaria (?) Giannini sulle lauree professionalizzanti, decreto poi sospeso dalla ministra Fedeli, la quale ha, di fronte alle forti proteste degli Its, avviato una “Cabina di regia” con alla fine, proprio nei giorni scorsi, la pubblicazione di un documento che auspica una collaborazione, caldeggiata anche da Giancamillo Palmerini su queste pagine, tra università e Its, senza più forme di guerriglia, viste le diverse tipologie formative e di approccio al mondo del lavoro.
Non basta però il solo auspicio, perché il piano programmatico invocato in questo documento ancora in bozza, che dovrà poi tradursi in un vero atto normativo, richiede un lavoro in comune, da realizzarsi da subito, vista la scadenza, a settembre 2017, della sospensione del decreto della Giannini favorevole alle lauree professionalizzanti a scapito degli Its. Cosa può succedere, a questo punto?
Anzitutto, che sia messo bene in chiaro che gli Its preparano al lavoro, trattandosi, questi diplomati biennali, di, chiamiamoli così, super-tecnici. In seconda battuta, resta la questione aperta di come integrare questi due distinti percorsi, da un lato studiando bene come favorire, visto l’alto numero di abbandoni dopo il primo anno universitario, il passaggio agli Its di questi ragazzi, e dall’altro come promuovere forme di raccordo, alla fine del biennio, col percorso triennale universitario, in modo da consentire ai giovani che lo vogliano l’acquisizione di conoscenze e competenze di livello universitario.
Senza, dunque, una forte collaborazione il rischio è evidente: mettendoci dalla parte dei ragazzi e delle famiglie, non c’è un confronto alla pari tra università e Its, nel senso che le lauree professionalizzanti, se diventeranno l’alternativa reale ai corsi biennali degli Its, porteranno questi stessi corsi a inaridirsi e, dunque, a morire. Collaborazione, dunque, con sottolineatura della diversità dei percorsi.
Non solo. Gli Its, ne è convinto ad esempio Giorgio Spanevello, direttore dell’Its meccatronico di Vicenza, hanno tutto l’interesse a condividere un ragionamento di sistema. Mentre sono le università che, sino a oggi, si sono mosse autonomamente, senza preoccuparsi neppure di sapere il cuore dei percorsi biennali, anche se molti loro ricercatori e docenti hanno contribuito a costruire e continuano ad insegnare al loro interno. Diversità dunque di percorsi e di approcci, che dovrebbero venire incontro al grande dramma della disoccupazione giovanile e del sempre faticoso raccordo tra formazione e mondo del lavoro.
Dove si insinuano queste diversità? Nelle modalità di approccio didattico e di sperimentazione in azienda, visto che almeno il 50% del tempo-scuola viene svolto sul luogo di lavoro. Mentre l’università ha, da sempre, privilegiato l’approccio disciplinare, di contro a quello laboratoriale degli Its. Non solo. L’università non ha mai definito le figure professionali che intende formare con le lauree professionalizzanti e a oggi non è neppure in grado di attivare e di organizzare, qualitativamente, i tirocini aziendali. Mentre in questi anni gli Its hanno saputo costruire rapporti diretti, concreti, efficaci con le aziende del comprensorio, aziende che sono, lo ricordo, anche soci degli stessi Its.
Infine, è giusto dire che all’interno delle stesse università (non si parla qui della Crui, ma dei docenti dei diversi Dipartimenti) moltissimi sono contrari alle stesse lauree professionalizzanti, perché porterebbero a un radicale cambio di paradigma della stessa vita universitaria, la quale non sarebbe più vocata anzitutto alla libera ricerca, rischiando di diventare solo strutturale e strumentale al mondo delle aziende. Non solo all’interno delle università, ma persino all’interno del mondo imprenditoriale è in atto un forte dibattito pro o contro queste lauree professionalizzanti.
Collaborazione e riflessioni di sistema, dunque. Se in determinati territori gli Its si fossero già affermati come interfaccia del mondo del lavoro, le università potrebbero concentrarsi meglio sulla propria mission. Resta la richiesta presente anche nel pezzo di Marco Leonardi, uscito sul Sole 24 Ore, citato da Palmerini, di un raccordo funzionale tra università e Its, per favorire comunque una via d’uscita lavorativa concreta ai nostri giovani. Mentre oggi questo manca. Forse perché interessano, di più, le iscrizioni fine a se stesse, quindi i fuori corso.