Nella più classica delle notti di mezza estate, shakespearianamente parlando, mentre un nuovo episodio della Terza guerra mondiale colpisce la Catalogna e mentre il dramma dei profughi annega nella melassa dei giornali, ecco che in Italia risorge il più classico dei fantasmi nostrani, ovverosia la destinazione del “tesoretto”. Robert Louis Stevenson, l’immortale autore del romanzo più letto dai ragazzi, appunto “L’isola del tesoro”, non avrebbe avuto più fantasia di quanto la nostra benemerita classe dirigente possa mai vantare nell’inventare, ogni anno che Dio ha fatto, questa angosciante “corsa alla beneficenza”.
La memoria in questo è una compagna un po’ bastarda, tignosa come un medianaccio di calcio di una squadra di provincia: non ti molla, ti assedia, ti ricorda dati e date, grandi promesse e piccole invenzioni. Se poi, l’età avanza e come si dice…, tendi a perdere di lucidità, basta una ricerca su Google, basta scrivere “tesoretto governo” e vederti riproposti sogni e bisogni degli ultimi decenni. Dunque, rassegniamoci: anche le sfilate di moda politica per l’estate autunno del 2017 prevedono sulle passerelle modelli che ci presentano capi intessuti di spese di soldi che presumibilmente non ci sono, brodati di promesse che all’ultimo hanno assunto dimensioni diverse (diciamo che spesso è stato come aver capito dal rivenditore che hai appena acquistato una Alfa Romeo Stelvio e vedersi recapitare una Trabant di teutonica, dell’Est, memoria), con colori sgargianti ma improbabili.
Fuor di metafora, da qualche settimana, in coincidenza con l’approssimarsi delle elezioni siciliane e nazionali, la classe politica ha scoperto di poter disporre di un tesoretto nato dai risparmi sul debito pubblico e da una ripresa, indubbia e benvenuta, dell’intera economia. Su questo sono tutti d’accordo: è sul resto che i pareri divergono. A cominciare da quanto c’è da spendere, per finire a come spenderlo. Sul quantum, diciamo che si va da un minimo di un paio di miliardi a chi parla anche di somme 5-6 volte superiori. Sul come, come spenderlo, beh la fantasia galoppa con gli interessi elettorali e con i bisogni di rappresentanza.
Prendiamo il nostro ministro del Tesoro: Padoan non lo dirà mai, ma è intimamente convinto che quel risparmio sia frutto del suo lavoro e quindi toccherebbe a lui deciderne le sorti (e per lui sia chiaro che occorre anzitutto tagliare il debito). Stessa posizione di Calenda, ministro dello Sviluppo economico, per il quale sarebbe opportuno intervenire sul sistema industriale. Renzi preferirebbe, si legge, distribuire a quelle categorie che sono state tagliate fuori rispetto alle sue elargizioni (artigiani, piccoli industriali, commercianti).
Poi c’è chi parla di sostenere con robuste iniezioni di denaro il reddito di inclusione, la risposta piddina alla richiesta di un reddito di cittadinanza del Movimento Cinque Stelle: in altri termini di dare quel che si può a quelle categorie che meno hanno (giovani, disoccupati, famiglie senza reddito). Infine, c’è chi pensa a capitoli come la ricostruzione post-terremoto, o le pensioni, in particolare proponendo di usare quei soldi per ridurre la velocità con cui si sta innalzando l’età della messa a riposo di tanti italiani e italiane.
Insomma, ognuno parla pro domo propria. Noi ci permettiamo alcune considerazioni, appiccicose come l’aria delle nostre città in questi giorni afosissimi. La prima: ma come si può spendere prima di sapere cosa si ha in tasca? E dunque, si lavori sui dettagli e sia dia una comunicazione, trasparente, univoca e chiara, agli italiani: i sacrifici che hanno fatto per reggere in questi anni durissimi sono stati immani, hanno diritto di essere trattati come adulti e non come minori con un Quoziente Intellettuale pari a quello di un lichene.
I soldi ci sono o no? Se la risposta è no, ebbene, non sarà questa notizia ad ammazzare il Governo o a far perdere le elezioni a Renzi. Il giovin signore fiorentino ultimamente pare, invece, aver perso il suo tocco magico, oltre che, ed è assai peggio, quella fortuna che lo assistette per un sacco di tempo: così come gli ottanta euro non lo fecero vincere, ora il tesoretto potrebbe non farlo perdere. Di lui gli italiani apprezzarono soprattutto una certa chiarezza e trasparenza oltre a una brutale franchezza che col tempo è però scivolata in supponenza. Ebbene, se non ci sono soldi per tutti, lo dica, parta da lì per ricostruire il rapporto di fiducia con il suo elettorato.
Seconda Ipotesi. Se i soldi ci sono a chi destinarli? La nostra umile posizione è che se ne occupi Babbo Natale. Non è una provocazione, ma un ragionamento. Come fare a stabilire le priorità dato che in questo momento non si possono accontentare tutti? Si regalino dunque i soldi agli italiani con il sistema più equo, che consiste nell’allocare i miliardi in quei capitoli di spesa che ne massimizzeranno gli effetti delle ricadute: in tal senso si emuli il mitico erede di Santa Klaus. Si usi poi di questa occasione per introdurre qualche ulteriore riforma in un Sistema-Paese che è invece refrattario alle novità.
Un esempio? Il rinnovo dei contratti del Pubblico impiego, che riguardano qualche milione di italiani che da un decennio aspettano un aumento dei loro salari, e che potrebbero davvero essere l’occasione per parlare di meritocrazia, di lavoro per progetti, di formazione continua e cambiamenti nel sistema. Sosterremmo larga parte di quelle famiglie che rappresentano la classe media italiana, soprattutto al Sud. Un altro esempio? Perché non tagliare il cuneo fiscale a favore dei lavoratori? Anche le imprese ne beneficerebbero, in termini di rilancio del mercato interno e di possibilità di contrattazione aggiuntiva, con quel che ne seguirebbe in termini di competitività. Ulteriore esempio? Sostegni alle famiglie in termini di investimenti sui servizi: creeremmo lavoro e insieme daremmo fiato alla asfittica e ansimante demografia nazionale. Non vi basta? Tagli alle tasse per le fasce medie e medio basse.
E poi… Poi basta, perché i soldi sarebbero finiti e di pagare debiti cominciamo ad averne abbastanza, come anche siamo stufi di questa afa estiva, esasperante quanto una promessa elettorale non mantenuta.