PRECOCI CONTRO LE SCELTE DEL GOVERNO

Per cercare di favorire l’occupazione, in particolare giovanile, il Governo pare intenzionato a introdurre con la Legge di bilancio degli incentivi per le assunzioni degli under 32, insieme al potenziamento degli assegni di ricollocamento, per far sì che i disoccupati possano provare a rientrare nel mondo del lavoro. Tra i lavoratori precoci c’è chi non nasconde una certa perplessità su questi strumenti. E sul gruppo Facebook 41xTutti Lavoratori Uniti un post che riporta la notizia riporta un breve commento di Francesca Lemma “Io dico…. ma se mandassero in pensione noi, non diminuirebbero i disoccupati, i cassaintegrati e le persone da sussidiare? Troppo difficile?”. Il senso è molto chiaro: se si consentisse il pensionamento dopo 41 anni di lavoro sarebbe possibile liberare diverse posizioni che potrebbero essere occupate dai giovani o da dei disoccupati che stanno cercando di ritornare nel mondo del lavoro.



PENSIONE DI GARANZIA PER I GIOVANI NON SUBITO

La pensione di garanzia per i giovani potrebbe diventare realtà. Di certo Governo e sindacati ne parleranno ancora durante il loro prossimo incontro previsto il 30 agosto. A tal proposito, Repubblica riporta le dichiarazioni di Marco Leonardi, che ha spiegato: “Parleremo di quello che si può fare subito. Considerate però le risorse di cui disponiamo, la parte più importante del progetto dovrà essere rinviata al prossimo anno, del resto le pensioni con il contributivo puro cominceranno ad essere frequenti tra 15 anni. Puntiamo a mettere a punto un progetto completo per gli anni a venire”. Dunque sembra che si comincerà a impostare la misura, ma la concreta realizzazione verrà probabilmente rimandata. Questo perché per la Legge di bilancio non ci sono tantissime risorse. Lo stesso consigliere economico di palazzo Chigi aveva spiegato che la crescita del Pil superiore alle attese non liberava alcun “tesoretto” da spendere per la manovra.



LE DIFFERENZE CHE PESANO SULLE DONNE

Le differenze di genere continuano a essere pesanti nel nostro Paese, anche per quel che riguarda le retribuzioni e le pensioni. Su Io Donna un articolo ricorda che la situazione è la stessa di 15 anni fa. “Non solo le donne, durante la loro carriera lavorativa, continuano a guadagnare meno degli uomini a parità di mansione (il 16% in meno dice l’Ue), ma in pensione il divario di genere sopravvive. Era in Italia il 41,8% nel 2002. Nel 2014 (ultimo dato disponibile secondo un’indagine conoscitiva della Camera dei deputati) è quasi uguale: il reddito medio delle pensioni riservate alle donne è il 41,4% più basso rispetto a quello degli uomini”, scrive Corinna De Cesare, che riporta anche i dati europei, i quali evidenziano “che negli ultimi cinque anni il divario pensionistico maschi-femmine è aumentato in metà degli Stati membri”.



Perché questo peggioramento? Certamente a causa della crisi, che fa guadagnare o lavorare meno, ma anche, per via dei lavori di cura. “La richiesta del part-time da parte delle donne è storicamente correlata alla necessità di supplire alla mancanza di servizi adeguati alla famiglia”, viene ricordato nell’articolo, nel quale si dà spazio anche alle dichiarazioni di Paola Profeta, professoressa di Scienze delle Finanze alla Bocconi, secondo cui per cambiare la situazione “bisognerebbe ripartire da misure sul mercato del lavoro e scardinare elementi culturali radicati nel nostro Paese che accentuano gli squilibri tra lavoro di donne e uomini e che poi ricadono sulle pensioni”.

LA DOMANDA SUI LAVORI DI CURA DELLE DONNE

Negli ultimi giorni sono state non poche le dichiarazioni sulle pensioni, spesso contraddittorie tra loro, come nel caso di Enrico Morando, secondo cui non ci sarebbe spazio per interventi previdenziali nella Legge di bilancio, e Domenico Proietti, che invece ha voluto ricordare al viceministro dell’Economia che il Governo e i sindacati hanno aperto un confronto proprio sulle misure previdenziali. A questa situazione ha dedicato il suo consueto punto settimanale Orietta Armiliato. Sulla pagina Facebook del Comitato Opzione donna social ha voluto però evidenziare anche che il numero delle iscrizioni al comitato medesimo ha superato quota 3.000 “e mi piace sottolinearlo poiché è un numero di persone realmente interessate all’obiettivo dato”, scrive Armiliato, evidenziando che non è mai stata posta in atto alcuna campagna particolare per chiedere di iscriversi o cercare di guadagnare iscrizioni. Armiliato conclude però il suo post con una domanda che fa riflettere: si chiede infatti come mai ci sono donne che ritengono sbagliata la battaglia perché vi sia un riconoscimento, ai fini previdenziali, dei lavori di cura.