In questi giorni sta tornando con forza sui giornali, da parte di politici, personalità del mondo industriale, sindacale e culturale, il tema del lavoro come fattore primario di attenzione per la crescita e lo sviluppo del Paese. In particolare si iniziano a presentare proposte (ancora preliminari) tese a favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. I giovani, infatti, sono i più colpiti dalla disoccupazione e dalla precarietà nonostante le politiche attuate negli ultimi anni, che nel 2015 hanno portato a un innalzamento delle assunzioni a tempo indeterminato (riducendo in particolare l’ingresso tramite stage o contratti a termine), ma che dal 2016 si sono fortemente attenuate (un effetto di breve o brevissimo termine).



Che il problema della disoccupazione dei giovani sia grave è molto ben evidente dai dati: nel 2016 il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 18 e 29 anni era pari al 28,2% con forti variazioni territoriali tra nord (18,5%), centro (26,6%) e sud (42,4%). Una disoccupazione che è cresciuta a livello nazionale di ben 11,2 punti percentuali dal 2004 al 2016 (nel 2004 era pari al 17%). Cosa può favorire la crescita dell’occupazione creando le condizioni per un percorso che sia duraturo e non si limiti a brevi effetti positivi che nel giro di poco tempo ci riportano allo stato attuale? 



Non è facile la risposta e non esistono ricette preconfezionate per migliorare la situazione, ma certamente occorre per affrontare il tema cercare di cogliere con maggiore cognizione la situazione nella quale stiamo vivendo. Il lavoro è cambiato e alcuni fattori sono sempre più rilevanti per affrontare un percorso professionale. 

Si cambia posto di lavoro, si passa da un contratto a un altro, da un settore economico a un altro, da un territorio a un altro, da una professione a un’altra. La mobilità contrattuale, territoriale e professionale è oggi parte dell’esperienza lavorativa. Questo fatto pone certamente in gioco da una parte la persona nel cogliere e affrontare la sfida della mobilità e dall’altra le istituzioni (pubbliche e private) nella creazione di politiche e servizi per sostenere le persone nelle fasi del cambiamento. 



Si sta assistendo a una polarizzazione delle professioni. Crescono le esigenze di figure professionali altamente specializzate e contemporaneamente anche quelle di bassa professionalità, mentre si stanno riducendo per effetto dell’automazione della robotica le professioni intermedie che avevano costituito un tassello importante per la crescita occupazionale nella fase post-industriale.

Un secondo aspetto sempre più evidente è che cambiano, con grande velocità, le competenze richieste per svolgere una professione. Oggi, in quasi tutte le professioni, è sempre più rilevante, la richiesta di competenze digitali (l’uso del web, delle applicazioni informatiche per la gestione dei processi aziendali, la conoscenza di linguaggi di programmazione, di gestione e analisi di social media, per arrivare agli algoritmi di intelligenza artificiale e di analisi di grandi volumi di dati – i big data). Per fare qualche esempio, le competenze digitali hanno un’incidenza del 18% per professioni operative (addetti allo spostamento merci), valgono circa il 30% per i contabili per arrivare a valori che sfiorano il 38% per le professioni del marketing e della comunicazione (fonte Wollybi – annunci di lavoro pubblicati dalle aziende sul web a livello Italia). 

Un terzo aspetto rilevante riguarda la nascita di nuove professioni legate in particolare all’area dei big data e degli analytics (capacità di trattare e analizzare grandi volumi di dati per supportare la conoscenza dei fenomeni e i processi decisionali), dei social media (gestione di social media e utilizzo degli stessi in particolare nell’area marketing e comunicazione), della sicurezza (specialisti di cyber security) e di quello che viene chiamato l’internet delle cose (IoT – gestione, trattamento e analisi di sensori e attuatori intelligenti). Sono esempi derivanti dall’evoluzione/innovazione del web che hanno grandi potenzialità di sviluppo sia nel settore dei servizi, sia nell’industria con l’avvento di quella che viene chiamata quarta rivoluzione industriale o Industry 4.0. 

Queste evidenze derivano da cambiamenti più generali dell’economia che hanno prodotto forti ripercussioni sul mercato del lavoro odierno e ne produrranno altri nel prossimo futuro. Siamo passati negli ultimi due decenni da un’economia fondata sulla produzione di beni materiali a una basata sulla conoscenza e l’innovazione. Uno scenario nuovo ben descritto da Enrico Moretti (economista di Berkeley) che in un recente scritto spiega che “l’ingrediente chiave per l’occupazione è rappresentato dal capitale umano“; e per questo si apre uno scenario in cui “il fattore produttivo essenziale è rappresentato dalle persone: sono loro a sfornare nuove idee”. Rafforzando quanto espresso dice ancora che “per la prima volta nella storia, il fattore economico più prezioso non è il capitale fisico, o qualche materia prima, ma il capitale umano e la sua capacità creativa”. 

Questi e altri cambiamenti modificano profondamente la realtà del lavoro odierno e incideranno certamente anche su quello futuro mettendo sempre più l’attenzione sul fattore primario del lavoro: la persona. È la personalità, “l’io” che oggi fa la differenza per affrontare le sfide che abbiamo davanti. Un “io” che cresce e si sviluppa in un percorso educativo e formativo che inizia nei primi anni di vita e prosegue nel tempo. Per questo il tema primario dell’investimento per il lavoro è rappresentato dai percorsi educativi dell’istruzione che proseguono poi nella formazione continua; in secondo luogo dal favorire la capacità innovativa e creativa delle persone nei luoghi di lavoro e tramite investimenti in start-up; dal valorizzare le attività di ricerca delle imprese e delle istituzioni universitarie; dal riconoscere una giusta retribuzione che non deprima in particolare i giovani; dalla valorizzazione delle imprese innovative che creano valore e occupazione. 

L’ipotesi di riduzione del cuneo fiscale per l’assunzione dei giovani, accennata in questi giorni, favorirà lo sviluppo duraturo dell’occupazione? Certamente la riduzione del costo del lavoro (per i primi tre anni di assunzione – come già fatto per il Jobs Act) porterà dei benefici, ma non rischiamo di ridurre il tema dell’occupazione e del lavoro a un problema di costo? Occorre tenere conto dei diversi e nuovi fattori e mettere in gioco elementi che sappiano guardare più in la: “Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito” (Antoine Marie Roger de Saint Exupéry).