Domani ci sarà un nuovo incontro tra i sindacati e Aran per discutere del rinnovo dei contratti statali e dell’aumento degli stipendi per i dipendenti pubblici. Si affronterà però in quest’occasione anche un’altra questione, quella relativa alle visite di controllo fiscale per malattie e assenze. Sono tanti i temi su cui confrontarsi in realtà: dai permessi alla legge 104, passando per tutte le regole per gli statali. C’è la volontà di cambiare i controlli sulle malattie per i dipendenti pubblici, che saranno affidati all’Inps anziché alle Asl. E si pensa ad una procedura in parte informatizzata per riferire quando un’assenza è a rischio. Il vero nodo però è rappresentano dalle risorse per gli aumenti degli stipendi: per Franco Martini (Cgil) al momento le risorse «non consentono di affrontare positivamente il rinnovo». Serena Sorrentino, numero uno della Fp Cgil, avvisa: «Non ci possono essere comparti penalizzati» a causa degli 80 euro. Sulla stessa lunghezza d’onda la Uil: Antonio Foccillo raccomanda di «non confondere il bonus con l’incremento salariale». Decisamente più esplicito è stato Maurizio Petriccioli della Cisl, secondo cui le risorse vanno stanziate «nella legge di Bilancio».
NODI-SINDACATI E REPLICA DELL’ARAN
L’Aran prova a minimizzare i problemi e i rischi del rinnovo sui contratti statali per quanto riguarda il tema del bonus 80 euro: come più volte abbiamo trattato l’argomento in questi mesi, con l’aumento degli 85 euro fissati dall’accordo Aran-sindacati per tutti i dipendenti statali, alcuni potrebbero vedersi “togliere” il bonus Renzi da 80 euro proprio perché il ricavo annuale diviene più ingente con l’aumento dello stipendio, facendo perdere la priorità acquisita. «Oggi ci siamo concentrati sulle risorse – ha detto – per chiarire in modo abbastanza preciso qual è la dimensione del fenomeno 80 euro, che comunque costituisce una percentuale non particolarmente significativa rispetto al totale delle risorse complessive», spiega il presidente dell’Agenzia Governativa, Sergio Gasparrini. Sono infatti circa 363mila i lavoratori Pa che rischiano di vedersi togliere il bonus, ma è evidente che una soluzione va trovata altrimenti rischia di saltare tutto il tavolo delle trattative cosi faticosamente costruito dopo 8 anni di promesse non mantenute e aumenti non avvenuti.
PRECARI E MINISTERO ECONOMIA
Le trattative per il rinnovo dei contratti statali con l’Aran sono riprese. L’incontro di ieri si è tenuto a livello confederale, ma presto ci saranno i tavoli dedicati ai vari comporti. Per quanto riguarda quello scuola, sono due i nodi che hanno ritardato finora il via libera da parte del Ministero dell’Economia: l’equiparazione dei diritti dei docenti precari a quelli di ruolo e il riconoscimento di una corsia preferenziale agli assistenti amministrativi che hanno svolto per tre anni, negli ultimi otto, funzioni di direzione amministrativa. Nel primo caso il problema sono i costi, per cui si andrà verso una mediazione per avviare il processo di equiparazione tra precari e docenti di ruolo, così da non produrre un aggravio per le casse dello Stato. Stando a quanto riportato da ItaliaOggi, sarebbero comunque previste differenziazioni in caso di svolgimento di compiti differenti, ma su questo si sa ancora poco, visto che finora le funzioni di precari e insegnanti sono sempre state le stesse. (agg. di Silvana Palazzo)
AUMENTI BEFFA? LA PROPOSTA DI ZANETTI
Il rinnovo dei contratti statali potrebbe risolversi con una beffa per i dipendenti pubblici che rientrano nella fascia di reddito tra 22 e 26 milioni di euro. Si tratta di coloro che percepiscono il cosiddetto bonus Renzi di 80 euro, che potrebbero essere cancellati dall’aumento di 85 euro. Il paradosso è che i dipendenti, soprattutto di sanità ed enti locali, rischiano di ritrovarsi una busta paga più leggera, visto che l’aumento è lordo, mentre il bonus non è tassato. Enrico Zanetti, segretario di Scelta Civica, ha avanzato una proposta sul bonus che segue un meccanismo di progressività. «Bisogna dargli la forma e non solo la sostanza di maggiore detrazione di lavoro dipendente e renderlo pieno fino a 22.000 euro invece che fino a 24.000, ma farlo decrescere gradualmente fino a 28.000, invece che fino a 26.000». In questo modo si limiterebbero i problemi connessi agli aumenti salariali per chi è nella fascia alta e quelli legati alla restituzione della maggiore detrazione fruita per chi è nella fascia bassa. Inoltre, si toglierebbero «9 miliardi di euro sia dal lato entrate tributarie, sia dal lato spesa corrente, rendendo più chiaro e più performante il bilancio dello Stato». (agg. di Silvana Palazzo)
IL NODO-MADIA
Ieri è partita la nuova fase, decisiva, sulla trattativa per il rinnovo dei contratti statali per tutta la Pubblica Amministrazione. Subito però i nodi saltati al pettine, di fatto gli stessi di inizio agosto, fanno intuire che nel prossimo autunno la possibilità di arrivare facilmente ad un accordo sono molto poche. L’impressione è che l’accordo siglato dal ministro Madia lo scorso 30 novembre verrà rispettato, ma i punti da chiarire tra i ministri Padoan e Calenda non sono certo pochi e il livello delle trattative tra Aran e sindacati dovrà cercare di limare le distanze tra il governo e la rappresentanza nazionale dei lavoratori Pa. «Si sono affrontate le tematiche relative ai rinnovi contrattuali per le parti comuni ai 4 comparti del Pubblico impiego», spiega in una nota il segretario confederale della Uil Antonio Foccillo. In particolare, «si è discusso del riequilibrio tra legge e contratto, dei modelli di partecipazione, di welfare contrattuale, di risorse e del c.d. bonus Renzi. Abbiamo ribadito, come Uil, che – in linea con l’accordo del 30 novembre – l’incremento economico deve essere di 85 euro e che il bonus degli 80 euro non può essere confuso con l’incremento salariale. Devono invece essere trovate soluzioni diverse, compresa la defiscalizzazione del salario di produttività».