LAVORO E PENSIONI. Il tema delle relazioni tra le Parti sociali, e in particolare il contributo che le stesse possono offrire al Sistema Paese, in questa fase cruciale e per certi versi caratterizzata da poche luci e molte ombre, è abbastanza ricorrente e indagato sulle pagine di questo quotidiano; difficile descrivere grandi novità, se non puntualizzare alcune questioni nell’attimo in cui riponiamo le cose nei cassetti per la pausa estiva (ovviamente per chi la fa).



In questi giorni Governo e Parti sociali discutono di molti problemi, ma in realtà sappiamo che la madre di tutte le questioni sociali ed economiche è l’incapacità di tradurre in lavoro (un buon lavoro) la timidissima ripresa della produzione e della crescita. Continuano a pervenire segnali positivi da più osservatori, ma è provato che con le statistiche non si convince né la casalinga di Voghera, né l’artigiano del viterbese! Il Paese ha bisogno che le rappresentanze sociali (delle imprese, dei lavoratori, dei professionisti, del commercio, dei servizi pubblici e via di questo passo) lavorino e operino non avendo in mente solo stesse, ma siano in grado di indicare strade realistiche e percorribili, incrementando la produttività in cambio di un aumento delle retribuzioni, ridando spazio a modalità di relazioni sindacali, sociali e di lavoro che siano fondate su buone pratiche e comportamenti virtuosi più che su regole e cavilli, sui troppi “ovvero” inseriti nelle norme e dai significati ambigui. Non servono le prediche, servono esempi come quelli di centinaia di migliaia di uomini e donne che ogni giorno fanno bene il proprio lavoro, senza essere sui giornali, chiedendo in cambio solo il dovuto e spesso gratuito, come nel caso dei tanti lavori non retribuiti che nessun Istituto riconosce. 



Uno straordinario segnale deve essere dato sulla seconda questione madre: se la prima è il lavoro in quanto tale, il capitolo iniziale di questo libro si chiama “buon lavoro” per coloro che stanno nella fascia 18-29 anni! Ben venga l’annunciato (e speriamo che si concretizzi) provvedimento di alleggerimento degli oneri a carico di imprese e datori di lavoro per tre anni, un maxi sconto sulle assunzioni stabili che si attueranno dal 2018 in poi. Non sarà la panacea di tutti i mali, i sociologi potranno continuare a sostenere che la ricchezza non si espanderà più come una volta, ecc. pazienza, ce ne faremo una ragione, in quanto noi ragioniamo con la logica che piuttosto che niente è meglio il piuttosto… Il Paese ha bisogno di rappresentanze sociali che facciano fino in fondo il loro mestiere, non che facciano finta di farlo: se serve una legge per regolare le rappresentanze sindacali (anche dei datori di lavoro) e scioperi solo dannosi a chi viaggia, forse prima della scadenza della legislatura chi deve dare un colpo di reni lo deve fare.



Il Paese ha bisogno che si metta mano alle manovre pensionistiche convenendo sulle priorità, non per accontentare quel gruppo di rancorosi o di super pre-pensionabili con il 100% dell’assegno di sostegno coincidente con l’ultimo stipendio; ci par di capire che, forse, ci si sta incamminando verso strade realistiche e sostenibili, che abbiano a cuore i giovani, i disabili, le donne con contribuzioni discontinue, coloro che davvero fanno lavori faticosi e pesanti più di altri e, come detto, occorre scegliere, decidere che uno è più faticoso dell’altro, che l’una condizione è più meritevole di un sostegno rispetto a un’altra. Non ci può essere partita tra un professore e un muratore, tra un impiegato e una maestra d’asilo quando si arriva oltre i 60 anni!

Allora i comportamenti virtuosi non sono una categoria morale, ma percorsi di politiche attive, di transito e accompagnamento tra un lavoro e un altro, perché non tutti possono andare in pensione, ma possono essere adibiti a lavori meno impegnativi sul piano psico-fisico, con orari ridotti, con forme di staffetta, di alternanza. Il Jobs Act ha ridotto le possibilità di utilizzare la Cassa integrazione, non sono più disponibili lunghi percorsi assistenziali (in termine tecnico si chiamano politiche passive), ecco perché è necessaria una spinta verso le politiche attive, in cui si incrementino responsabilità, si premino le buone pratiche, si disincentivino le elusioni, si sanzionino le scorrettezze. 

Per esempio, prima di licenziare, si attuino piani sociali di ricollocazione, di accompagnamento, di riqualificazione, di offerta di nuove opportunità e ciò vale per le imprese medio-grandi, ma anche per le situazioni aziendali e lavorative di ridotte dimensioni. Un vecchio sindacalista mi ha sempre detto che quando si vedono le bandiere rosse sui cancelli per troppe settimane significa che lì è finita, non ce ne è più per nessuno! 

Occorrono esempi, il moltiplicarsi di best practice che esistono, passando anche per sostegni fiscali e riconoscimenti premiali e che questo giornale e il mondo che ci gira intorno ogni tanto rappresenta: infatti al Meeting di Rimini vedremo documentata la virtuosità di alcuni esempi, non solo del nostro Paese. Per esempio, l’Inail (l’Istituto nazionale per l’assicurazione sugli infortuni di lavoro) premia con sconti contributivi le aziende a zero infortuni, le imprese che, attraverso buone pratiche di lavoro, si impegnano nella prevenzione, nella salvaguardia della salute e dell’integrità delle persone.

Sono questi i “dossier caldi”, che non si chiudono perché per 20 giorni il Paese rallenta i suoi ritmi, i conti veri rimangono aperti: infatti, le questioni si ripresentano sempre il lunedì della riapertura, spesso aggravate. Ma dato che già alla domenica intravediamo le cose del lunedì e decidiamo come fare il giorno successivo, allora lavoriamo sul piano tecnico e dei particolari anche in agosto: i leader vanno in vacanza, ma i diplomatici (e gli sherpa) sono al lavoro sempre, h24 si dice adesso, come gli infermieri, i vigili del fuoco, i ferrovieri e i tanti che lavorano, sempre e comunque, per il bene nostro e di tutti.