I DUBBI DELLA CISL

La Cisl mostra tutti i dubbi dopo questa due giorni di trattative sindacati-Governo sul fronte, soprattuto, dell’assegno base per i giovani: secondo le parole del segretario confederale che ha partecipato alle trattative, Maurizio Petriccioli, «L’ipotesi del governo della riduzione del parametro minimo dell’1,5 è certamente positiva, tuttavia se vogliamo implementare la flessibilità in uscita dobbiamo lavorare anche sui parametri per andare in pensione prima. Ridurre anche quello del 2,8 significa ripristinare flessibilità al sistema, altrimenti di fa una cosa incompleta. Il coefficiente di 2,8 vuol dire mandare in pensione solo chi ha un assegno di 1.400 euro cui arriverebbero in pochissimi». Su questo punto si dice praticamente concorde anche la Uil, specie nei modi (mentre la Cgil parla di completa distanza rispetto alle proposte del Governo): «C’è stato questo sforzo da parte del ministero di individuare la possibilità di un nuovo meccanismo che riguarda i coefficienti portandolo da 1,5 a 1,2 volte il valore dell’assegno sociale e eventualmente anche quello del 2,8  ma riteniamo che sia necessario arrivare ad una soluzione entro il mese di settembre anche perché ad ottobre sarà presentata la finanziaria al Parlamento», afferma all’Adnkronos il segretario generale Carmelo Barbagallo.



CNEL BOCCIA LA PROPOSTA DEI SINDACATI

Dopo Ichino anche il nuovo presidente del Cnel, Tiziano Treu, boccia su tutta la linea la proposta dei sindacati di stoppare l’aumento dell’età pensionabile: secondo l’esperto «non si può alterare questo meccanismo, non sono favorevole», e in questo modo dunque conferma la linea del Governo che preferisce attendere i nuovi dati Istat sull’aspettativa di vita prima di agire in questa direzione. «L’adeguamento dell’eta’ pensionabile all’aspettativa di vita deve rimanere perche’, a parte i costi, e’ un sistema che vale in tutta Europa ormai e che non puo’ essere modificato poiche’ c’e’ un contingente rallentamento dell’andamento della longevita’», spiega ancora Treu, prima di concludere così, «sono meccanismi delicati, non si possono toccare impunemente, al di la’ dei costi. Capisco che ci siano delle spinte ma e’ una visione miope contingente».



MAGGIORI CONTROLLI PER PENSIONATI ALL’ESTERO

È un discorso che spesso ritorna perché spesso vi sono controlli non “perfetti” con spiacevoli effetti: le pensioni per i cittadini italiani all’estero hanno ovviamente sempre bisogno di un controllo e un meccanismo maggiore per evitare errori sia a sfavore che a favore dei pensionati stessi. È notizia di questi giorni però di una decisa impennata per maggiori controlli da parte dell’Inps, dato che da oggi oltre al settore privati è anche il settore pubblico a passare sotto l’ala di controlli maggiori per eventuali illeciti o errori. Con un accordo internazionale, CitiBank e Inps effettueranno due periodi di controlli, tra settembre 2017 e gennaio 2018 in Europa, Asia e Africa, mentre tra febbraio e luglio 2018 per America, Oceania e Nord Europa. I cittadini italiani residenti all’estero che percepiscono però una pensione italiano avranno così maggiori controlli sia per quanto riguarda eventuali illeciti ma sia possibili riduzioni di errori da parte della macchina statale burocratica italiana, non certo immune da sbagli come purtroppo molto spesso abbiamo potuto osservare in questi anni.



LE MOSSE DEL PD IN VISTA DELLE ELEZIONI

Saranno lunghi mesi per la riforma pensioni e per i completi adeguamenti alle proposte del Governo; ma saranno mesi lunghi anche a livello politico per il grande count down vero le Elezioni, presumibilmente entro la prossima Primavera 2018. Anche per questo le mosse del Pd (e non solo) sembrano orientate a cercare di inseguire voti e consensi: va dunque forse registrato in questo senso la nuova corsa intrapresa dal governo sul piano previdenziale con le tre principali proposte e promesse dell’esecutivo che trovate qui sotto. «Sicuramente il Pd ha due problemi: da un lato deve guardare ad anziani e pensionati, un’area che non può perdere e che vive un disagio profondo. Dall’altro lato non può non avere un occhio di riguardo verso i giovani, elemento decisivo per il suo posizionamento futuro», racconta Luca Comodo di Ipsos a Il Sole 24 ore questa mattina. 

LE TRE MISURE ALLO STUDIO DEL GOVERNO

Occorre fare un po’ di ordine dopo due giorni di intense trattative governo-sindacasti sulla fase 2 della riforma pensioni e soprattutto sulle tre principali sfide che il Ministero del Lavoro e l’esecutivo Gentiloni dovrà mettere a punto nei prossimi mesi. In primo luogo, la pensione ai giovani (qui sotto una sorta di modello sviluppato): i lavoratori giovani interamente nel sistema di contributi e con carriere spesso discontinue per le difficoltà dei primi anni nel mercato lavorativo, ecco loro potranno andare in pensione prima dei 70 anni e con 20 di contributi. Il tutto, avendo maturato un trattamento pari a 1,2 volte il minimo (448 euro): secondo lo studio del Governo, l’assegno mensile sarebbe circa tra i 650 e i 680 euro. Il secondo punto chiave offerto da Poletti ai sindacati riguarda il fronte dell’Età Pensionabile: qui le posizioni sono molto distanti, visto che le sigle nazionali chiedono al governo di stoppare l’aumento automatico dell’età per andare in pensione, che dal 2019 proseguirà per effetto dell’aumento dell’aspettativa di vita. Il governo invece non lo considera una priorità assoluta, come invece per Cgil, Cisl e Uil, e intende attendere i dati dell’Istat prima di agire. Da ultimo, la Rita (Rendita Integrativa Temporanea anticipata): è previsto una piccola modifica a quanto già deciso negli scorsi mesi, nel tentativo di svincolarla completamente dall’Ape social e rendendola in questo modo usufruibile da tutti gli iscritti alla previdenza integrativa, già dai 63 anni (7 mesi prima di quanto stabilito finora).

PENSIONE GIOVANI, ECCO COME FUNZIONEREBBE

Lo ha spiegato ieri mattina il Corriere della Sera dopo le novità uscite ieri dal vertice Governo-Sindacati: la pensione “base” per i giovani di circa 650 euro dovrebbe andare in contro il mondo giovanile che nei primi anni di lavoro può trovare molta fatica ad avere una contribuzione permanente e stabile. «Coloro che non hanno altri redditi potranno cumulare questa pensione più facilmente con parte dell’assegno sociale perché la pensione conterà non più per due terzi ai fini dei requisiti di reddito per accedere all’assegno stesso ma il 50%. Secondo i calcoli del governo, i 537 euro della pensione potranno così salire intorno ai 660 euro al mese», spiega il Corriere nel suo speciale Pensioni. Di fatto, come ha teorizzato il governo, l’assegno può crescere di 30 euro per ogni anno di lavoro in più fino ad un massimo stabilito di 1000euro. Di contro, il presidente dell’Inps, Tito Boeri, non condivide per nulla l’introduzione di una pensione di garanzia per i giovani che hanno avuto carriere discontinue perché sarebbe un trasferimento di costi a carico delle generazioni future.

LE ULTIME MOSSE DI RENZI

Matteo Renzi insiste con la sua pattuglia Pd in Parlamento: sul fronte delle pensioni vuole “smuovere” le acque per tutti quei pensionati incipienti, ovvero quelli che percepiscono un reddito annuale inferiore agli 8mila euro (e che dunque non prendono i celebri 80 euro al mese). Secondo la proposta del segretario dem, a questa categoria particolare dovrebbe arrivare almeno un aumento di 40 euro: il problema è che la misura, secondo le stime del Ministero dell’Economia, costerebbe fino a circa 2 miliardi di euro e rappresenterebbe così più di un problema per tutte le altre misure che attendono un via libera dal Mef. «Più abbordabile l’ipotesi di rifinanziare e potenziare l’Ape sociale, l’anticipo pensionistico gratuito destinato ad alcune categorie di lavoratori o ex lavoratori, come disoccupati, portatori di handicap o impegnati in mansioni usuranti» spiega Repubblica, anche se Renzi non intende “mollare” la battaglia in periodo molto delicato pre-elettorale.