Questa settimana la vita del piccolo, ma rumoroso e spesso agitatissimo, mondo delle relazioni industriali italiane è stata scossa da una notizia che per la più gran parte degli italiani non dice molto. Anzi, fuori di litote, non dice proprio nulla.
I sindacati confederali, Cgil Cisl e Uil e le rispettive federazioni del settore commercio, turismo e terziario, hanno infatti sottoscritto un accordo con Confesercenti, l’associazione dei datori di lavoro di quel comparto, relativo al modello contrattuale, agli elementi di regolamentazione e di certificazione della rappresentanza. In altri termini, è stato sottoscritto un accordo nel quale si dice chi rappresenta chi, e per fare cosa.
Appunto, per fare cosa? Per sottoscrivere contratti di primo livello, nazionale, e secondo livello, locale, aziendale, provinciale. Bene, ma — si chiede l’italiano medio — a me che ne viene in tasca? E quale sarebbe la novità nascosta, ben nascosta, in questa notizia?
La novità c’è, ma non riguarda né i contenuti, né i sottoscrittori, né eventuali ricadute sul settore del cosiddetto terziario, avanzato, avanzatissimo, appena arretrato che si voglia dire. Essa riguarda invece chi non c’era.
Andiamo con ordine però. L’intesa interessava, come detto, i sindacati confederali e Confesercenti. Con essa si allargano anche alle imprese aderenti a quella associazione, che una volta si sarebbe detta “dei commercianti rossi”, quanto già era stato deciso con i rappresentanti dell’altra confederazione di categoria, la Confcommercio (che i più vecchi ricordano ancora come “i commercianti bianchi”): sistema di conteggio delle tessere (cioè della rappresentanza), suddivisione dei compiti, modalità di rapporto tra tutti i soggetti. Le due piattaforme si assomigliano tantissimo, al punto che l’una ricalca quasi l’altra. Entrambe poi riproducono analoghe intese strette nei mesi scorsi tra sindacati e associazioni artigiane e con la Confapi, la confederazione delle piccole imprese.
Nessuna novità quindi: tutti contenti, firmatari e sottoscrittori, sindacati e imprenditori. Tutti contenti per non aver introdotto nulla di nuovo? Certo: perché, è stato detto, questa è la conferma che in Italia si va imponendo un modello di relazioni industriali del tutto nuovo, secondo un percorso iniziato poco più poco meno un anno fa e che si va allargando e imponendo a macchia d’olio: i conteggi dei voti delle Rsu, le rappresentanze sindacali interne unitarie, saranno sempre più univoci e sempre meno diversi tra loro. I datori di lavoro sapranno con chi parlare e contrattare e con chi no.
Ma la soddisfazione dei soggetti attori è anche la dimostrazione che il settore terziario, quello più frammentato, più innovativo ma anche più difficile da gestire e raggiungere per i sindacati tradizionali, ebbene quel settore è ricettivo anche delle esigenze sindacali. Lì non vi sono solo lavoratori sfruttati e padroni “dalle belle braghe bianche”, ma si va aprendo una stagione nuova, fatta di reciproche garanzie, di nuovi diritti, di azioni positive per i dipendenti e per i datori di lavoro. Tutto questo entusiasmo, vien da pensare a qualche “m’pensante”, solo perché si conosceranno finalmente i numeri veri degli iscritti al sindacato e si saprà chi ha vinto le elezioni delle Rsu, un affare che interessa solo ai sindacati?
Beh, a dire il vero la notizia sta proprio qui, per cui dal posto in caldo che oggi occupa presso il Signore Iddio, ci perdonerà il nostro antico maestro di giornalismo se, per una volta, la notizia non la abbiamo data in apertura di articolo ma la infiliamo qui, a metà, suppergiù.
L’apertura del settore terziario ai sindacati significa, infatti, che l’attuale giungla contrattuale, il coacervo di contratti e contrattini sottoscritti da imprenditori che si fanno la loro associazione, e già che sono all’opera si fanno pure qualche volta anche il loro sindacato, per firmare contratti con validità quanto meno circoscritta, vista la platea di coloro che li usano, bene, questo coacervo di creativi contrattualisti, potrebbe ben presto vedersi ridurre l’aria in cui respira, o l’acqua in cui nuota, fate un po’ voi.
Cosa succedeva ad oggi infatti? Gli imprenditori seri, o quelli che non potevano sfuggire alla serietà per tante ragioni, si rivolgevano a contratti nazionali, fatti con sindacati nazionali diciamo “rappresentativi”, cioè che hanno sedi in tutta la nazione, iscritti in moltissime aziende diverse, che hanno una tradizione e un contatto vero con la gente. Intendiamoci: non solo Cgil, Cisl e Uil, ma principalmente questi. Ovviamente, fatti salvi i primi, gli altri contratti erano quasi sempre al ribasso, anzi al ribassissimo: se i confederali arrivano a trattare paghe orarie di 15-16 euro l’ora, ci sono contratti che per lo stesso settore e mansione e profilo prevedono 6-7 euro, ferie ridotte al minimo, nessun giorno di malattia pagato, scarsi diritti sindacali o di aggiornamento professionale o di avanzamento di carriera. Insomma veri e propri contratti capestro, destinati a pagar meno la gente e quindi a fare una concorrenza spietata, e pure selvaggia, a quegli imprenditori che non hanno voluto/potuto seguire i loro confratelli sulla strada del dumping. Su 190 contratti nazionali di quel settore, infatti, solo 22 sono firmati da chi rappresenta la grandissima parte dei lavoratori, gli altri da associazioni-sindacati che ne raccolgono solo una infima frazione.
Da ora in poi i contratti saranno validi solo se a firmarli ci sarà qualcuno che ha iscritti veri e fa davvero il mestiere-missione di rappresentare i lavoratori o gli imprenditori.
E questo conterà molto anche nelle vertenze di lavoro individuali e non solo in quelle collettive. Più tutele, più chiarezza, più sicurezza per dipendenti e imprenditori.
Ma c’è anche una seconda notizia che vien fuori da questo accordo (e qui le nostre colpe verso le sacre leggi del giornalismo si moltiplicano, ma noi confidiamo sempre nella confessione e nel pentimento, oltre che nella intercessione del nostro Maestro Pier).
La sottoscrizione riguarda, come detto, il terziario, solo il terziario. E quindi? E quindi, si chiedono in molti, com’è che Confindustria, quella che una volta dettava le regole, che imponeva la sua legge su tutti, che si permetteva di stoppare o accelerare le intese generali, quand’anche pure le leggi, com’è che Confindustria non si muove? Ecco: mentre il terziario corre, l’industria s’affanna, s’arrabatta, si dibatte tra dubbi amletici e veti incrociati. L’intesa è quindi un po’ il simbolo di un Paese nel quale le associazioni di categoria e i sindacati di categoria del terziario sperimentano accordi di punta, intese che guardano al domani. Non a caso sono anche queste, le associazioni, datoriali o sindacali, che fanno iscritti, che hanno bilateralità avanzate.
Manca l’industria al tavolo delle relazioni industriali, e ciò, a parte il bisticcio di parole, è un fatto: come se il terziario avanzato fosse già oltre Industria 4.0.
Bella prospettiva, ma sta nascendo una nuova economia, specchio di un mondo dinamico, che dice la sua, che detta sempre più regole per tutti: stavolta ha stanato il dumping contrattuale.
Ecco quindi perché il piccolo e selettivo mondo delle relazioni industriali italiane ha guardato con qualche interesse a quella intesa: perché tutti hanno capito che se non si affretta il mondo dell’industria rischia di restare troppo indietro. Tanto indietro da sembrare vecchio.
PS. Contento Pier che non ho dato la notizia proprio alla fine?