Il problema della disoccupazione giovanile è una delle caratteristiche del mercato del lavoro italiano di lungo periodo. La crisi avviatasi nel 2007 ha accentuato un fenomeno non nuovo. Fin dalla fine degli anni ’70, con ciclicità regolare, sono registrabili interventi legislativi con a tema il sostegno all’occupazione dei giovani. Gli interventi hanno talvolta sostenuto la nuova imprenditoria o hanno riguardato forme contrattuali che favorissero l’inserimento di giovani attraverso un abbattimento del costo del lavoro. L’ultima crisi ha determinato una situazione per certi versi nuova. È cresciuta la disoccupazione giovanile, è sceso il tasso di occupazione e, nello stesso tempo, sono aumentati i giovani che risultano assenti sia dai percorsi scolastici che dal mercato del lavoro. I famosi Neet.



Verso di loro è stato rivolto un primo grande programma che ha coinvolto tutti i paesi europei. Il programma Youth Guarantee, Garanzia Giovani, è stato indubbiamente un successo. In primo luogo proprio perché ha coinvolto in modo unitario tutti i paesi d’Europa diventando il primo esempio di un nuovo modo di affrontare la sfida di un nuovo modello di workfare unitario. È stato un successo anche per la capacità di coinvolgimento dei giovani che hanno aderito al programma con numeri significativi. I risultati della prima fase, ormai conclusa, hanno anche permesso di valutare le best practices emerse nei diversi paesi.



Per quanto riguarda il nostro Paese è emerso che, ancora una volta, abbiamo impegnato più risorse in percorsi formativi e in tirocini che in percorsi finalizzati a inserimenti lavorativi stabili. Questo risultato, frutto di scelte molto spesso sbagliate attuate dalle decisioni regionali e non dovute al programma europeo, richiamano un dato strutturale del rapporto formazione-lavoro. Come emerge dalla lunga esperienza di politiche rivolte ai giovani, il nostro sistema mostra una grave lacuna nei percorsi di formazione professionale e nell’inserimento lavorativo attraverso i contratti di apprendistato.



Dai confronti europei, i paesi che vantano un mercato del lavoro più favorevole ai giovani sono quelli dove il sistema duale, formazione e istruzione professionale e lavoro, è più sviluppato. Negli ultimi anni, a partire dell’attuazione del Jobs Act, anche il nostro governo ha cercato di intervenire riformando e sostenendo questo percorso per il lavoro giovanile. Da un lato si è riformato il sistema dell’apprendistato semplificando gli oneri burocratici a carico delle imprese e favorendo, anche attraverso accordi sindacali, una distribuzione dei costi fra lavoro e formazione, più sopportabile. Dall’altro si è normato il sistema duale cosicché, soprattutto nelle regioni che avevano investito sul sistema di istruzione e formazione professionale, si è creato un percorso formativo che permette di arrivare alla qualifica professionale e poi al diploma professionale, essendo già inseriti, con contratto di apprendistato, in un’impresa. Si è realizzata quindi la possibilità di percorsi di formazione professionale, paralleli ai percorsi scolastici tradizionali, che possono portare a competenze certificate pari al livello universitario con le qualifiche tecniche superiori acquisibili sempre con sistema duale dopo il diploma professionale.

La sperimentazione avviata negli ultimi due anni ha dato risultati ottimi. Gli inserimenti lavorativi di chi esce da questi percorsi sono altissimi, anche perché i corsi sono condivisi fra imprese e istituti formativi. Hanno inoltre permesso di prevedere percorsi formativi per nuove figure professionali, quindi assicurato quella flessibilità necessaria per rispondere alle esigenze poste dalla trasformazione del sistema produttivo.

Ora il governo ha annunciato che nella manovra economica di fine anno ha previsto misure a sostegno dell’occupazione giovanile. Lo schema che si è potuto capire dalle prime informazioni è quello di intervenire con una decontribuzione (in quota ancora da fissare) finalizzata a favorire l’assunzione di giovani con contratti a tempo indeterminato. È previsto poi che tale misura sarà estesa nell’arco di un quinquennio a tutti i lavoratori, agendo così sul cuneo fiscale che penalizza il lavoro dipendente nel nostro Paese. Come già sostenuto, credo sia una misura utile perché favorisce la fascia di persone più penalizzate nel mercato del lavoro, assegnando un periodo entro cui recuperare il gap rispetto alle altre classi di età.

Tale intervento deve però coniugarsi con tutte le misure che servono per rafforzare la presenza dei giovani sul mercato del lavoro. Come emerge dalla ricerca sui mutamenti del mondo artigiano presentata da Confartigianato Lombardia, le micro e piccole imprese preferiscono assunzioni stabili. Oltre il 70% delle assunzioni nel settore avviene con contratti a tempo indeterminato o di apprendistato. Le misure sulla decontribuzione delle assunzioni attuate nel corso del 2016 hanno però penalizzato l’apprendistato e il lavoro giovanile. Alla fine del provvedimento le assunzioni in apprendistato sono cresciute del 30% circa, rispetto al periodo precedente. Se riteniamo che sia un obiettivo in sé fare crescere i percorsi del sistema duale vi è la necessità di fare in modo che una misura a favore dell’occupazione giovanile non operi in modo negativo su altri canali che avranno, nel corso degli anni, un valore strutturale.

Per questo ritengo che, pure nell’ambito dell’intervento di decontribuzione previsto, questo vada esteso ai contratti di apprendistato considerandoli a tutti gli effetti come contratti stabili ed equiparati a quelli a tempo indeterminato. Se crediamo realmente che con lo sviluppo del sistema duale diamo una risposta strutturale al rapporto scuola-lavoro nel nostro Paese, non possiamo non tenere conto che una misura che non sostenga adeguatamente quanto è appena nato rischia di spiazzare un progetto che ha ancora molto da dare in risposta al bisogno di lavoro dei giovani.