Le assunzioni contro le pensioni. È questo il gioco al massacro, irresponsabile, al quale stiamo assistendo in queste settimane. Il dibattito politico ha deciso di contrapporre, per l’ennesima volta, giovani e anziani. Da un lato un’agevolazione contributiva per i giovani che verranno assunti a tempo indeterminato (fino a 29 o 32 anni, limite ancora da definire), dall’altro il congelamento temporaneo dell’aumento dell’età pensionistica legata all’aspettativa di vita.



In un Paese che assiste a una ripresa “congiunturale” (mentre nel resto del mondo è ormai strutturale), un Paese che ha bruciato il 10% del Pil e il 25% di produzione industriale in 10 anni, solo in un Paese come il nostro, non si è ancora capito che o si riparte tutti insieme o non si salva più nessuno. Serve quindi un patto sociale forte e politiche che diano messaggi chiari. La ripresa italiana è debole, ma soprattutto è una jobless recovery, cioè non genera posti di lavoro. Gli interventi devono essere definiti e incisivi, quindi determinanti.



Per quanto riguarda l’agevolazione per l’assunzione dei giovani, innanzitutto è necessario portare la platea a 32 anni, in quanto i dati ci indicano che la fascia in sofferenza occupazionale sfiora i 40 anni. Inoltre, deve essere una misura strutturale, limitata a quelle aziende che non procedono a licenziamenti nei mesi precedenti e futuri all’assunzione a tempo indeterminato. In sostanza, occorre agevolare le assunzioni dei giovani in aziende serie, che hanno una visione e che si assumono una responsabilità sociale nei confronti della collettività.

Per quanto riguarda l’aspetto pensionistico è necessario comprenderne l’urgenza. Da un lato il congelamento, o comunque il rallentamento, dell’incremento dell’età pensionistica nel breve periodo è funzionale a sostenere drasticamente il turnover occupazionale. Secondariamente è tutto interesse delle giovani generazioni sviluppare una maggiore flessibilità previdenziale, considerando soprattutto la dinamica occupazionale legata all’evoluzione tecnologica. Occorre quindi tutelare maggiormente i profili professionali più prossimi al lavoro usurante, ancora oggi non pienamente riconosciuto: dall’infermiera, alla maestra d’asilo, passando anche a tutte le forme di lavoro autonomo/artigianale. Queste sono figure che la tecnologia non sostituirà nell’immediato futuro e contestualmente sono lavori che umanamente non possono essere svolti dopo una certa età anagrafica.



La “fase due” del confronto governo-sindacati sul tema previdenziale dovrà tenere conto anche della precarietà/temporaneità delle carriere occupazionali dei lavoratori post 1996 (ai quali verrà applicato il contributivo puro), in quanto non solo rischiano di accedere alla pensione in tarda età, ma soprattutto di essere titolari di un assegno vicino alla soglia di povertà. L’ipotesi di una pensione di garanzia, di base, risponde sicuramente a questo tipo di problematica: il meccanismo prevalentemente a capitalizzazione del contributivo viene riequilibrato con una “base” sostenuta dalla fiscalità generale.

La prossima manovra sarà anche l’ultima dell’era Draghi, quindi si chiuderà la fase dell’acquisto del debito sovrano a tassi vicino allo zero. La prossima Legge di bilancio deve dunque consentire al nostro Paese di abbracciare una crescita finalmente robusta, rilanciare la competitività e sostenere l’occupazione.