La campagna elettorale è solo all’inizio, eppure gli esponenti di spicco dei partiti – basta chiamarli leader… – si stanno superando in promesse che non solo probabilmente non manterranno, ma che hanno tutto il sapore sgradevole di portare l’elettore a cedere a chi gli prometterà la restituzione di maggior denaro. Stop al canone Rai, alle tasse universitarie, alla Legge Fornero, al Jobs Act, pensioni minime a 1000 euro, reddito di cittadinanza, reddito di inclusione… basta farsi qualche domanda per capire tutta la pochezza di queste proposte: 1) ha senso proporre di abolire il canone Rai dopo che si è attuato un meccanismo virtuoso – così da tempo dicono i protagonisti – di riscossione dello stesso? 2) perché privare le università di fondi quando, comunque, le tasse universitarie sono corrisposte in modo proporzionale al reddito di famiglia? Per poi aumentare i fondi pubblici alle accademie? 3) ma chi propone l’abolizione di legge Fornero e Jobs Act non li aveva forse votati in Parlamento?



La campagna elettorale come gioco di promesse di restituzione di denaro è un’invenzione di Berlusconi (“vi restituirò l’Imu”), chissà quindi cosa sta tramando il capo di Forza Italia, imbattibile mattatore. Sicuramente è pronto a sparare il colpo più grande sul finire della campagna elettorale. Gli italiani possono solo augurarsi che questo periodo passi in fretta, perché davvero è il momento in cui i politici danno il peggio di loro stessi. Non un progetto a medio termine, nessuno propone qualcosa che rappresenti un percorso virtuoso per il Paese.



Se le rappresentanze di impresa e lavoro fossero più attive, fermerebbero questi numeri da circo chiedendo un intervento strutturale sul fisco. Se si può restituire denaro agli italiani, perché non fare una bella riforma fiscale? Naturalmente i partiti (tutti) obietterebbero subito che è difficile, perché ciò metterebbe sotto stress le finanze pubbliche. La verità è innanzitutto che ciò chiederebbe ai partiti di controllare la spesa pubblica e, quindi, i loro sprechi. Solo per fare un esempio, nel nostro Paese un dirigente apicale nella Pa ha compensi medi pari a 8,6 volte il reddito medio procapite; in Germania 4,5. Sono forse i migliori i nostri dirigenti pubblici?



Questo è il motivo di fondo per cui in Italia ancora non si è fatta una riforma fiscale seria. La Spagna l’ha fatta nel 2014, certo chiedendo all’Europa quella necessaria flessibilità perché è inevitabile che se diminuiscono le entrate (meno tasse), sale il rapporto debito/Pil. Ma grazie alla diminuzione delle tasse, per un anno in Spagna il Pil è cresciuto del 3,5%, proprio per il significativo effetto che il taglio delle tasse ha avuto sull’impresa (più assunzioni) e sui consumi. Nei suoi tre anni di governo, Matteo Renzi è stato molto bravo a strappare flessibilità a Bruxelles, quasi 20 miliardi di euro. Peccato che sia cresciuta di molto la spesa.

Sta per iniziare una nuova legislatura: la vera riforma di cui il Paese ha bisogno è quella fiscale. Altrimenti, continuiamo a prenderci in giro.

Twitter: @sabella_thinkin

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